PERCHÈ, PRIMA O POI, UNA CURA LA TROVANO... MA NEL FRATTEMPO DIAMOCI UNA MANO PER NON PERDERCI NELLA NOTTE

mercoledì 9 settembre 2020

STARGARDT E VITAMINA A: FACCIAMO CHIAREZZA!

La Vitamina A ha un ruolo cruciale nella visione... come nella Stargardt. Se seguite questo blog avrete letto in numerosi post di come la malattia di Stargardt e la Vitamina A non vadano d'accordo.

Ne ho parlato ad esempio QUI e QUI.

Vorrei però sfatare alcuni luoghi comuni e cercare di darvi poche ma efficaci dritte, basandomi esclusivamente su quanto riporta la letteratura scientifica.

Andiamo per ordine:

1. La VITAMINA A fa male a chi ha la Stargardt: sì... ma anche no!

Questo è un concetto molto importante, che dovete cercare di comprendere correttamente e fare vostro. La Vitamina A, ovvero il Retinolo, è essenziale per poter vedere. Senza la Vitamina A tutto il processo chimico che sta alla base della visione NON PUO' FUNZIONARE. Nella malattia di Stargardt, quello che può essere pericoloso è un eccesso di Vitamina A. Fate attenzione a questo concetto, perchè è tutto tranne che scontato. Il pericolo che deriva da elevati livelli di Vitamina , nelle persone con la Stargardt, si deve al fatto che un eccesso di questa sostanza (o più correttamente micronutrienti) può accelerare i meccanismi molecolari che fanno progredire la malattia. Questo pericolo, quindi, NON si corre con una normale assunzione di Vitamina A: ciò significa che, con una alimentazione varia ed equilibrata, NON SI CORRE NESSUN RISCHIO DI FAR ACCELERARE LA STARGARDT PER COLPA DELLA VITAMINA A!

I pericoli si possono correre, certamente, usando in maniera scorretta gli integratori. Secondo le linee guida, la supplemetazione di Vitamina A deve essere evitata in tutti i soggetti portatori di mutazioni sul gene ABCR, ovvero tutti i malati di Stargardt. Non da meno, seguendo una dieta scorretta e sbilanciata, si potrebbe correre il medesimo rischio. Se si mangiano tutti i giorni grandi quantità di carote, peggio ancora,  si consuma regolarmente e in abbondanti quantità il fegato di pollo (è il più ricco di Retinolo) beh, allora il rischio torna ad essere concreto. Pertanto la parola d'ordine deve essere moderazione e attenzione per quello che decidete di mettere nel piatto: non esagerate in nessun senso, quindi niente eccessi ne privazioni! Io, tanto per farvi capire, a un bel piatto di fegatelli (di maiale possibilmente) con un calice di buon vino rosso non ci rinuncio: semplicemente non lo faccio capitare sulla mia tavola più di tre o quattro volte l'anno. Così resta il puro piacere, unito al valore nutrizionale di un alimento tanto nobile come il fegato.

2. I POMODORI non sono un pericolo.

Nel pomodoro è presente il Licopene, ne avrete sentito certamente parlare. Bene, vorrei chiarirvi questo: il Licopene è un carotenoide, è vero, ma NON viene trasformato in Vitamina A dal nostro organismo. Per cui, mi raccomando, non provatevi del piatto principe della nostra dieta. La pasta al pomodoro non fa accelerare la malattia di Stargardt. Rinunciare a un protagonista della dieta  mediterranea come il pomodoro significa privare il nostro organismo di una preziosissima fonte di antiossidanti, che soprattutto nella stagione estiva ci aiuta a sostenere i potenziali danni causati dal sole (sia a livello cutaneo che di stress luminoso nelle nostre retine), proteggendo i maschietti dai processi di invecchiamento della prostata. (!!!).

QUI trovate un bell'articolo esaustivo.

Pertanto, in conclusione, vi esorto ad aver un ruolo attivo nella cura del vostro organismo, cercando di tutelare la salute facendo attenzione, in primis, a come e a cosa mangiate, ma soprattutto non assumete integratori senza aver fatto le dovute considerazioni. In tema di integratori, se avete dubbi o curiosità, provate a leggere QUESTO post.


mercoledì 29 aprile 2020

Tramonto oltre la nebbia

Un vecchio post...in queste settimane di covid-clausura la mente cerca di fuggire dalle scatole di cemento in cui siamo costretti.
La mia cara Olympus mi chiamava dall'armadio...reclamando un po’ di luce.
Mi è tornata in mente questa bellissima giornata che torno a condividere. Era il5 dicembre 2015...


Oggi il cielo era grigio topo stecchito.
Una tristezza plumbea aleggiava su Imola. Finito di lavorare ho deciso di tentare la sorte spingendomi in alto.
Ho preso la reflex, il cavalletto, una birretta (che non si sa mai) e, messa in moto la macchina, mi sono diretto verso l'Appennino.
Il posto più alto che potevo raggiungere in breve tempo, visto che comunque erano le 15:00 e il sole non mi dava tanta autonomia, era il Monte Battaglia. Ci si arriva percorrendo la Strada della Lavanda, via suggestiva che unisce Fontanelice (BO) a Casola Valsenio (RA).
Ho dovuto attraversare uno spesso strato di nebbia, perchè proprio a mezza costa si era assestata la bianco grigiastra coltre umida.
Ma non appena superati i 700m, ecco la magia: un sole abbagliante è spuntato all'improvviso.

Caldo, intenso, accecante.

Il cielo era azzurro con screziature verdastri, che tiravano sempre più al carminio mano a mano che il sole piegava dietro l'orizzonte.

Ecco un po' delle foto che sono riuscito a scattare, usando un fantastico 58mm f2.0, preso in prestito per l'occasione dalla cara Zenith 35mm di mio padre e montato sulla mia fida em-10.


 










La cascata di nebbia
 

Ah...la birretta alla fine non me la sono bevuta. Troppo freddo, appena andato giù il sole aveva iniziato a gelare dappertutto.
Ma la stappo ora, mentre sviluppo le foto di oggi.
Prosit!

martedì 28 aprile 2020

Dal tramonto all'alba...in Casentino

Coi ricordi volo nelle Foreste Casentinesi...e mi riprometto di rivivere un tramonto e alba di solstizio...

21/06/2016
"Certo che fa un bel caldo anche qui, eh Dona?"
Sono le 19:00 e, sebbene ci troviamo a 850 metri di altitudine, l'afa pare essere riuscita a conquistare anche il confine settentrionale del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
"Io confidavo che l'inversione termica potesse portare un po' di vento, qui al Passo della Peschiera", rispondo a mio padre, "ma anche se la sera è alle porte qui non muove un alito d'aria."
Carichiamo gli zaini in spalla, belli farciti di leccornie e di quanto occorre per un pic-nic che si rispetti. Ho anche il cavalletto per la reflex: voglio cimentarmi nel mio primo time lapse. 


Infiliamo il sentiero 555 intitolato a "Giuseppe Gurioli", e immediatamente la montagna mette in chiaro come stanno le cose, qui. Il tracciato è quasi affogato in mezzo a un'esplosione di fiori e profumi. La primavera è stata generosa e, sebbene siano i primi giorni d'estate, pare che la vegetazione non abbia intenzione di ingiallire sotto il cocente sole. Dopo pochi metri di falso piano il sentiero si inerpica lungo il fianco di Monte Brusco. Un nome, un programma. Dobbiamo fare parecchia attenzione ai segnavia CAI, perchè qui ci passano parecchi animali, incluse le grasse e grosse vacche di razza Romagnola, le cui tracce sono ben evidenti lungo il selciato e che possono far confondere un escursionista poco attento. Boazze e margheritone giacciono, ormai secche, placide e bucherellate dalle mosche che ne hanno preso possesso, costruendo veri e propri condomini larvali in cui le progenie cresceranno per andare a tormentare, tutta l'estate, quelli che sono stati i produttori delle loro abitazioni.
Alcuni segnavia rosso-bianchi sono freschi di verniciatura, ma bisogna camminare guardandosi intorno perchè gli animali hanno scavato innumerevoli false vie, e non ci possiamo permettere di perdere tempo sbagliando sentiero: il tramonto non ci aspetterà.
Superiamo il cancello di pali mobili e filo spinato, che segna il limite del pascolo. Da li camminiamo per qualche centinaio di metri in piano, riprendendo un po' fiato. Non è troppo faticoso il percorso, ma l'afa è soffocante e in salita spezza il respiro. Il pascolo prosegue fino ai piedi del Monte Bruno, in vetta al quale ci fermeremo. Abbiamo un dislivello di 100 metri da coprire in neppure 400 metri di cammino, e se Euclide non ha sbagliato i suoi teoremi, la pendenza dell'ascesa sarà di quelle che ti lasciano senza parole.Madidi, o meglio, fradici di sudore, guadagnamo il nostro belvedere privilegiato. La cima del Monte Bruno è spelata, ricoperta solo da tanta erba che non supera il mezzo metro d'altezza. Qui si gode di un panorama a 360°e, se il cielo sarà limpido, dopo il tramonto si potrà vedere anche Cesenatico, col suo grattacielo, le sue luci e quell'orrida e immonda piattaforma petrolifera che è stata recentemente costruita a poche miglia dalla spiaggia. Maledetta sia la bieca miopia dell'uomo!Sono le 20:00 e, in base al calendario astronomico, abbiamo un'oretta giusta giusta prima del tramonto. Steso il telo da pic-nic sul manto erboso, appiattito poco prima da qualche bel pestone mio e di mio padre, ci sistemiamo e tiriamo fuori dagli zaini gli ingredienti per il banchetto silvestre di questa sera.
Carciofini sott'olio caserecci, verdure stufate e a pinzimonio, un bel tocco di parmigiano e   salame a bassa stagionatura da 1kg vanno ad arricchire la nostra tavolata improvvisata. Una bottiglia di sangiowhisky e di birra Weiss, ancora fresche di frigo portatile, completano il quadro che si presenta promettente e saporito.Trovandoci in quota il tramonto inizia il conto alla rovescia con qualche minuto di anticipo. Sono in ritardo per impostare la mia attrezzatura, e sfuma così la possibilità di fare il time lapse. Ma il treppiede torna comodo ugualmente: impostando la fotocamera on diversi livelli di esposizione riesco a realizzare una serie di scatti per fare foto in HDR. Per chi non lo sapesse, si tratta di scattare tre o quattro foto della stessa scena con diversi tempi di esposizione, in modo da cogliere, nei differenti scatti, dettagli differenti. Le foto poi vengono fuse grazie ai programmi dedicati su pc, e il risultato finale è, a mio personalissimo avviso, magnifico! La mia Olympus fa tutto direttamente in camera , così mi godo subito il risultato. 





Mentre scatto decine di foto, continuiamo a banchettare, ma a un certo punto mio padre solleva una questione non trascurabile: "Dona, ma per colazione? Hai portato qualcosa?".

"A parte il caffè solubile e il fornello ad alcool no, niente", rispondo preoccupato. "Tra l'altro ora che torniamo in paese sarà tutto chiuso".

"Allora lasciamo qualcosa per domattina, altrimenti toccherà camminare a stomaco vuoto", suggerisce saggiamente lui.

Alle 21:30 raccogliamo le nostre cose. Il sole è già dietro l'orizzonte, ma la luce è ancora sufficiente per tornare al parcheggio senza usare torce.

Il bosco pare sia in pausa, attende silenzioso l'arrivo delle tenebre. Mi pare di avvertire l'ansia e l'aspettativa degli animali selvatici, pronti a far capolino dal fitto della boscaglia col favore dell'oscurità. Camminiamo in silenzio anche noi, con passo decisamente più svelto e allegro dell'andata. Complice il vino e lo stomaco pieno, affrontiamo con maggiore spensieratezza il sentiero che riporta, quasi tutto in discesa, al Passo della Peschiera.

Mentre carichiamo in auto i nostri zaini, dal bosco parte il canto inaugurale della nottata di attività di tutta quella fauna che si è riposata durante le assolate ore della giornata appena conclusa. Un Succiacapre inizia, col suo caratteristico trillo continuo, a intonare la colonna sonora della nottata. 

Poche curve e qualche tornante, e siamo in paese.
Come immaginavamo, a S.Benedetto è già tutto chiuso. Sono le 22:30 e il borgo è già in letargo. Ne approfittiamo per muovere qualche passo lungo il sentiero che porta alla Cascata dell'Acquacheta. Nemmeno duecento metri di cammino e ci ritroviamo immersi in una notte surreale. Nel buio del folto scorgiamo mille e mille luci. Come stelle del sottobosco, un'infinità di lucciole si muove nella notte, con il sottofondo della scrosciante e poderosa cascata che si incontra subito lungo il sentiero. Vedo una radura poco avanti a noi, e decido di raggiungerla. Uno spettacolo indimenticabile ci viene offerto dalla natura. Ci guardiamo intorno e vediamo le stelle della foresta, lampeggianti e danzanti intorno a noi. Poi alziamo gli occhi, e la via lattea, con la sua miriade di diamanti incastonati nell'infinito, ci fa sognare di essere in un posto dove ci sono due firmamenti: uno è nascosto, intimo; l'altro è maestoso, rassicurante.

Sono le 23:30 quando ripieghiamo in albergo. La sveglia è per le 3:30, e sarà dura dormire sapendo che l'alba ci attende.

Mio padre prende sonno immediatamente, ma io sono ancora in quel bosco, con la testa. Ripenso a quelle lucciole e a mio figlio, che ancora non le ha mai viste. Essere genitore vuol dire rivivere di nuovo le scoperte fatte da bambini, ed è uno dei maggiori riconoscimenti che questo ruolo difficile può regalare.

Per fortuna riesco a cedere a Morfeo, e un paio di orette me le dormo anche io. La svegli suona, discreta e puntuale, insieme alla torre campanaria del paese. Mi sono perso i 15 rintocchi di mezzanotte e tre quarti, ma anche i 5 din don appena suonati non sono uno scherzo. Echeggiano in tutta la vallata circostante, correndo tra montagne e gole ammantate di lussureggiante vegetazione.

Ci prepariamo rapidi e, in punta di piedi, usciamo dall'albergo. L'adrenalina in corpo non ci fa sentire la stanchezza, per cui siamo allegri e be svegli. Con l'auto riguadagnamo il Passo della Peschiera in una decina di minuti, passando davanti alla sorgente di acqua gelida in cui ci siamo rinfrescati ieri sera, al nostro ritorno dopo il tramonto. Acqua deliziosa, fredda, e abbondante!

Parcheggiamo al valico che segna il confine con Marradi, e indossati nuovamente i nostri zaini, ora alleggeriti, ci prepariamo a scarpiniare ancora lungo il CAI 555. Il succiacapre è sempre sullo stesso albero di prima. Canta, col suo trillo continuo, ma il volume è ora più basso. Sarà evidentemente esausto dopo 5 ore buone di gorgheggi.

E' ancora notte, ma fa un caldo maledetto. La luna piena rischiara a sufficienza il sentiero, per cui riusciamo ad orientarci senza necessità di torce. A parte un paio di cervi, che coi loro bramiti minacciosi ci hanno invitato gentilmente ad allontanarci rapidamente dai loro territori, non abbiamo fatto altri incontri con la fauna locale.

Guadagnamo la vetta del Monte Bruno col favor di luce. Il sole non è ancora sorto, ma manca davvero poco. Peccato però che l'orizzonte a est sia coperto da uno spesso strato di foschia. Sull'Adriatico l'aria non si è mossa: non essendoci stata inversione termica, è rimasto come tutto congelato a ieri, con l'afa che staziona implacabile su tutta questa zona.

"E Vabbuò", esordisce mio padre, visto che l'alba non ce la riusciamo a vedere, tanto vale metterci comodi e fare colazione.

Non potevo chiedere di meglio. Il mio stomaco brontola da una mezz'ora, per il pensiero di quello che attende di essere mangiato.

Sdraiati sul telo da pic-nic consumiamo i resti di ieri sera. Avevamo tenuto da conto anche mezza bottiglia di vino, che risulta quanto mai gradevole nonostante l'ora sia piuttosto presta.

Alle 6:00, finalmente, il sole emerge dalla coltre nebbiosa che ricopre il mare. Giusto il tempo di salutarlo e giù, di buon passo, si ritorna alla macchina. Fa un caldo già insopportabile, e il pensiero di quella che sarà l'aria che ci aspetta in pianura, per un istante ci fa vacillare.

E se restassimo quassù?

sabato 18 gennaio 2020

La storia di Sara

DI SEGUITO RIPORTO UNA STORIA PUBBLICATA ANCHE SU WWW.NOISYVISION.ORG. E' DAVVERO POTENTE E VORREI DARNE MASSIMA DIFFUSIONE. HA FATTO RIFLETTERE ANCHE ME SU QUESTIONI CHE RITENEVO RISOLTE E SUPERATE...MA CHE INVECE ERANO ANCORA BLINDATE DIETRO UNA DELLE ARMATURE CHE DIFENDONO LE NOSTRE PAURE.

LA STORIA DI SARA






A volte la vita è strana. Ogni tanto credi che ti stia prendendo in giro, forse solo per farsi una risata.

Ma partiamo dall’inizio. 


Un’infanzia normale direi.
Correva il 1992 era un buon anno per nascere in una famiglia normale.
Mamma e papà ipovedenti più o meno da sempre. Mamma ha perso la vista per glaucoma, papà ha nistagmo e miopia elevata (almeno questa era la diagnosi che aveva ricevuto),
Per me era la normalità. Molti mi hanno sempre chiesto:
“E come andavate in giro?”
“Beh come tutti no? Con l’autobus, con il treno, con la zia, con gli amici”.

Poi è nata una sorella e poi un fratello. Eccolo anche lui rientrare nella nostra normalità, distrofia retinica, nessuno si spiegava perché visto che non c’entrava niente né con papà né con mamma, ma dopo tutto per noi era normale,

E poi ci sono io. 
Io che vista la nostra anamnesi famigliare, sono stata portata a fare le visite dai migliori specialisti di Bologna, quelli che hanno sempre seguito pure mamma e papà. Io che ho sempre visto 6 decimi per occhio che erano i miei 10 decimi. I medici hanno sempre detto che era normale, avevo l’occhio pigro dovuto al nistagmo che aveva mio papà. Non era niente di grave, anzi probabilmente vedevo pure di più, con il nistagmo l’esame del visus può non essere del tutto veritiero.

Eppure negli sport non ero poi così brava, a palla proprio non mi piaceva giocare, vogliamo parlare del tennis? Come facevano tutti a vedere così bene quella maledetta pallina?
Ma dopo tutto vedevo bene anzi ero una super eroina rispetto alla mia normalità.
Eppure una sensazione mi ha sempre accompagnato, come la paura di fare la patente, era forse infondata, ma era come se non sentissi i miei occhi all’altezza.






Ma tutto sommato la vita andava avanti, tutto bene, Ah si non vi ho detto che portavo gli occhiali ero leggermente miope e astigmatica, a vent’anni ho fatto il laser tanto ero sempre stata stabile. Così posso togliere finalmente quegli occhiali che non mi piacevano proprio per niente.
Poi mi iscrivo all'università, mi laureo, inizio a lavorare. Nel frattempo, mi accorgo che uno dei miei occhi ha qualcosa che non va. Due piccole righine che se ne stanno lì vicino al centro del mio campo visivo. Ma stanno lì, non rompono. Magari corpi mobili, magari non lo so. Ed ecco che all’improvviso mi rendo conto che queste macchi crescono fino a diventare una sola, calo della vista repentino Ricominciamo ad andare dagli oculisti, ma cosa mi succede?. “Sclerosi multipla, neurite ottica,?”, risonanze, visite, punture di cortisone…


Morale: assottigliamento retinico a causa di stress. Tutto qui.

Io sotto sotto lo sapevo che non era una spiegazione, ma se me lo diceva l’oculista. Ricomincio a vivere la vita nella mia normalità. Sono andata avanti per cinque anni, come se nulla fosse accaduto, fino a che qualche mese fa mi sveglio una mattina che vedo una maledetta macchia, anzi due. Mi rendo conto che Il mio campo visivo anche nell'altro occhio non sta messo per niente bene.

E adesso come faccio?

Mi casca il mondo addosso. Ora si che ho paura. Ne ho più di quanto la mia mente riesca a sopportare. Io lavoro al computer, faccio la designer di interfacce, io viaggio amo viaggiare e come faccio? Mi chiedo se la mia vita vale ancora qualcosa, voglio mollare tutto. al pensiero di non essere più autonoma. Mi manca il respiro.
Ma qualcosa dovevo pur fare, ho iniziato a cercare, e ho trovato uno dei migliori oculisti in Italia e con il coraggio in mano prendo appuntamento.
Dopo 28 anni ho una diagnosi, ma soprattutto dopo 52 ne ha una anche mio papà.
Non ha un bel nome “distrofia dei coni”. No non è bello, ma almeno è un nome. Il medico che ci guardava desolato come volesse dirci: “avrei potuto dirvelo prima, dove siete stati tutto questo tempo? Perché i miei colleghi oculisti non ve lo hanno mai detto?”.
E ora? Non sono normale. Ma come non sono normale? E’ sempre stato normale per me no? Eppure quando lo vivi sulla tua pelle, non c’è niente di normale. 


Ma forse più che normale è qualcosa di speciale?

Speciale perché ho conosciuto delle persone uniche negli ultimi mesi come Donato, come Dario. Ho conosciuto delle nuove realtà uniche come NoisyVision.

Sto cercando di imparare a vivere di nuovo. Ci sono giorni buoni e alcuni meno buoni.
Ma sai che c’è, c’è che ancora posso vivere e allora viviamo. Prenoto un bel volo per New York, viaggiare mi fa stare meglio.
Mi rendo conto che ho un sacco di persone che mi vogliono bene che davo per scontato, e altre che posso lasciare sul mio cammino.
Ho come la netta sensazione di godermi di più ogni momento della mia vita, ogni emozione che provo. Mi sembra quasi una nuova opportunità, o no?
Ah si mi hanno consigliato di mettere occhiali protettivi da luci blu e raggi UV. Dopo essermene finalmente liberata di questi occhiali ora li devo rimettere? La vita mi prende in giro, ma forse è meglio che io rida più di lei.
So già che probabilmente crollerò un’altra volta, e forse mi rialzerò di nuovo e via così mi sa che sarà il destino della mia vita. Ma intanto sapete che faccio? Salgo sull’Empire state Building.



domenica 12 gennaio 2020

TRIAL e SPERIMENTAZIONI: istruzioni per l’uso

E' iniziata finalmente l’era di importanti trials clinici e sperimentazioni rivolte anche a noi Stargardiani.


Oltre a Zimura, di cui avevo parlato QUI a suo tempo, è in partenza anche il trial con Emixustat (QUI e QUI maggiori info): si tratta di un farmaco capace di interferire con l’accumulo della lipofuscina che, come sappiamo bene, è alla base del processo degenerativo che compromette la nostra visione centrale da Stargardt (ne avevo parlato QUI quando vi ho raccontato come funziona la nostra Stargardt).

Sicuramente qualcuno di voi sarà già stato contattao per un possibile reclutamento, mentre altri  potrebbero esserlo a breve. 

Il focus di questo post, però, non riguarda una particolare e specifica sperimentazione. In realtà, nelle righe che seguono, vorrei dare a tutti voi alcune nozioni di base che ritengo fondamentali affinché possiate approcciarvi all'avventura di una sperimentazione nel modo più corretto e giusto.

Cercherò di essere il più breve e conciso possibile.

Iniziamo...

Innanzitutto, quando si viene contattati e convocati per una sperimentazione sappiate che è un vostro innegabile diritto quello di sapere il numero di protocollo della sperimentazione di cui si sta parlando. Questo numero vi servirà per trovare, direttamente in rete, tutte le informazioni relative alla sperimentazione in questione.

Basterà andare sul sito


e con pochi click riuscirete a trovare il trial in oggetto e scoprire tutto quello che lo riguarda. Ovviamente il taglio sarà piuttosto tecnico.

In realtà, però, non spetta a voi documentarvi ed acquisire in prima persona le informazioni. La legge, in materia di sperimentazioni, prevede che ogni candidato volontario debba essere messo in condizioni di comprendere e capire ogni aspetto che riguarda il protocollo clinico sperimentale che viene proposto. Questo potrebbe iniziare già al momento della convocazione. Potete chiedere le informazioni in anticipo, senza l'obbligo di dovervi recare presso la struttura ospedaliera che vi sta convocando. E' importantissimo, perchè disponendo delle informazioni in anticipo potrete valutare il protocollo che vi si sta proponendo e arrivare al successivo colloquio in ospedale già con le domande che riterrete opportuno porre ai medici. Ci sono anche ovvie ripercussioni di carattere pratico (vi faccio un esempio ipotetico alla fine di questo post: leggetelo).


Attenzione: il protocollo DEVE essere redatto in modo da essere comprensibile. Questo significa, ad esempio, che qualora la sperimentazione fosse destinata a un ragazzo di 14 anni, ovvero un minore già legalmente in grado di decidere per s stesso, il testo del protocollo dovrà essere scritto in modo da essere compreso da un adolescente. A questo scopo ci sono psicologi e pedagoghi che riformulano i testi in modo specifico, comprensibile alla lettura di un individuo non ancora adulto e completamente istruito.

Sulla base di questa logica il prospetto informativo destinato a pazienti ipovedenti DOVRA' essere redatto in modo da essere leggibile. Così, tanto per chiarire, un documento scritto in foglio A4 con carattere 14 potrebbe essere inaccessibile per un impoverente (con Retinite Pigmentosa, Stargardt, Usher, etc). Sarebbe più adeguato e opportuno unun documento in formato digitale (pdf o ancora meglio word) o, in alternativa, un formato stampa A3 con corpo carattere 22.

Non è un dettaglio da poco: il protocollo e il prospetto informativo per il consenso informato DEVE essere comprensibile e leggibile al paziente a cui è redatto. Questo lo dice la legge in primis, ma onestamente se un equipe sanitaria non riesce ad avere la sensibilità e la capacità di capire che, un documento stampato e scritto in piccolo rappresenti un qualcosa di incomprensibile per un paziente impoverente, allora io inizierei seriamente a pormi diversi interrogativi...

Ad ogni modo, la legge dice ancora di più: affinché si possa acquisire un consenso informato il personale medico proponente il protocollo dovrà spiegare verbalmente al paziente ogni singolo aspetto relativo alla sperimentazione. (QUI la normativa di riferimento)

NON potrete essere liquidati con frasi del tipo "si tratta solo di prendere una pillola" piuttosto che "stia tranquillo che non potrà succedere niente"
NO, NO e ancora NO! 

Questo rappresenta un illecito rilevante penalmente. Su questo aspetto non dovrete transigere:
VI DEVONO SPIEGARE OGNI ASPETTO DELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA CHE VI VIENE PROPOSTA! 

Stesso discorso vale per il luogo in cui dovrete fare queste considerazioni. Si tratta di argomenti delicati regolamentati dalla legge sulla privacy, per cui non dovrà accadere che vi venga illustrato il protocollo direttamente in corridoio o in sala d'attesa ma, piuttosto, dovrete essere ricevuti in studio ovvero in una stanza non rumorosa e al riparo da altre orecchie e occhi. Dovrete essere incondizionati di comprendere bene e in modo chiaro tutto quello che riguarda il trattamento terapeutico che vi viene proposto.

Mi raccomando, ne va della vostra salute. Non esiste una terapia priva di effetti collaterali, ma bensì esiste un rapporto tra rischi e benefici che ognuno, singolarmente e in modo assolutamente soggettivo deve valutare.

Lo ripeto: ESIGETE SPIEGAZIONI! E che siano tanto dettagliate quanto a voi occorre.

Approfondite anche gli aspetti che riguardano la polizza assicurativa associata al protocollo sperimentale. Non asta sapere quali siano i massimali della polizza: dovete esigere spiegazioni in merito a quanti indennizzi la polizza ammette e, soprattutto, quali sono le clausole incluse. 
Ad esempio, la domanda che assolutamente dovrete fare è: se io dovessi perdere il lavoro per via di un disturbo causato dalla sperimentazione, sono coperto per la perdita salariale o no? 
Sembra uno scenario assurdo, ma invece non è così. Ponete che per via di una terapia sperimentale si perda l'uso di un arto o, restando in tema di vista, si subisca un danno retinico con compromissione della visione e, di conseguenza, dopo i sei mesi di malattia previsti dalla legge si venisse licenziati. Chi paga?

Non lasciate MAI NULLA AL CASO!

Ultimo aspetto che dovrete sempre tener presente è che NON AVETE VINCOLI. Potrete recedere dalla sperimentazione in ogni momento senza rendere conto a nessuno. E senza temere conseguenze. 

Solo avendo la piena consapevolezza di quelli che saranno tutti gli aspetti legali e clinici della sperimentazione che vi verrà proposta potrete fare una scelta CONSAPEVOLE E PONDERATA!


MI RACCOMANDO!!!!



PS: Ricordate che le sperimentazioni non sono segrete. Tutti i trial vengono pubblicati sul sito https://clinicaltrials.gov/ per cui non accettate come risposta "non possiamo fornirle dettagli in anticipo". 
Eccovi un esempio pratico relativo alla necessità di ricevere in anticipo le informazioni relative al trial:
"Vi viene proposta la sperimentazione e vi viene detto di presentarvi in ospedale a Roma alle 9:00 del mattino. Dovrete essere a digiuno. Peccato però che vivete a Bologna. Questo significa partire da casa intorno alle 6:00, il che corrisponde ad avere la sveglia alle 5 del mattino. Quattro ore a digiuno, con l'emozione che un evento del genere può generare in termini di aspettative e speranze. Arrivate alle 9:00 in ospedale e con mente non troppo lucida dovrete a questo punto valutare tutti gli aspetti della sperimentazione, prima di accettare e di dare il via a prelievo di sangue e indagini varie.
Concorderete con me che non si prospetta una situazione ottimale per poter fare una scelta così importante in piena consapevolezza e tranquillità.
E se poi leggendo le caratteristiche del trial vi doveste rendere conto che non ve la sentite? Avrete fatto una levataccia e sottoposto a stress (fisico ed emotivo) il vostro corpo per che cosa?  Io mi aspetterei che il personale sanitario abbia la sensibilità di evitare tutto questo a un paziente potenzialmente candidabile per il trial clinico in procinto di partire presso la propria struttura".

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