PERCHÈ, PRIMA O POI, UNA CURA LA TROVANO... MA NEL FRATTEMPO DIAMOCI UNA MANO PER NON PERDERCI NELLA NOTTE

mercoledì 29 aprile 2020

Tramonto oltre la nebbia

Un vecchio post...in queste settimane di covid-clausura la mente cerca di fuggire dalle scatole di cemento in cui siamo costretti.
La mia cara Olympus mi chiamava dall'armadio...reclamando un po’ di luce.
Mi è tornata in mente questa bellissima giornata che torno a condividere. Era il5 dicembre 2015...


Oggi il cielo era grigio topo stecchito.
Una tristezza plumbea aleggiava su Imola. Finito di lavorare ho deciso di tentare la sorte spingendomi in alto.
Ho preso la reflex, il cavalletto, una birretta (che non si sa mai) e, messa in moto la macchina, mi sono diretto verso l'Appennino.
Il posto più alto che potevo raggiungere in breve tempo, visto che comunque erano le 15:00 e il sole non mi dava tanta autonomia, era il Monte Battaglia. Ci si arriva percorrendo la Strada della Lavanda, via suggestiva che unisce Fontanelice (BO) a Casola Valsenio (RA).
Ho dovuto attraversare uno spesso strato di nebbia, perchè proprio a mezza costa si era assestata la bianco grigiastra coltre umida.
Ma non appena superati i 700m, ecco la magia: un sole abbagliante è spuntato all'improvviso.

Caldo, intenso, accecante.

Il cielo era azzurro con screziature verdastri, che tiravano sempre più al carminio mano a mano che il sole piegava dietro l'orizzonte.

Ecco un po' delle foto che sono riuscito a scattare, usando un fantastico 58mm f2.0, preso in prestito per l'occasione dalla cara Zenith 35mm di mio padre e montato sulla mia fida em-10.


 










La cascata di nebbia
 

Ah...la birretta alla fine non me la sono bevuta. Troppo freddo, appena andato giù il sole aveva iniziato a gelare dappertutto.
Ma la stappo ora, mentre sviluppo le foto di oggi.
Prosit!

martedì 28 aprile 2020

Dal tramonto all'alba...in Casentino

Coi ricordi volo nelle Foreste Casentinesi...e mi riprometto di rivivere un tramonto e alba di solstizio...

21/06/2016
"Certo che fa un bel caldo anche qui, eh Dona?"
Sono le 19:00 e, sebbene ci troviamo a 850 metri di altitudine, l'afa pare essere riuscita a conquistare anche il confine settentrionale del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
"Io confidavo che l'inversione termica potesse portare un po' di vento, qui al Passo della Peschiera", rispondo a mio padre, "ma anche se la sera è alle porte qui non muove un alito d'aria."
Carichiamo gli zaini in spalla, belli farciti di leccornie e di quanto occorre per un pic-nic che si rispetti. Ho anche il cavalletto per la reflex: voglio cimentarmi nel mio primo time lapse. 


Infiliamo il sentiero 555 intitolato a "Giuseppe Gurioli", e immediatamente la montagna mette in chiaro come stanno le cose, qui. Il tracciato è quasi affogato in mezzo a un'esplosione di fiori e profumi. La primavera è stata generosa e, sebbene siano i primi giorni d'estate, pare che la vegetazione non abbia intenzione di ingiallire sotto il cocente sole. Dopo pochi metri di falso piano il sentiero si inerpica lungo il fianco di Monte Brusco. Un nome, un programma. Dobbiamo fare parecchia attenzione ai segnavia CAI, perchè qui ci passano parecchi animali, incluse le grasse e grosse vacche di razza Romagnola, le cui tracce sono ben evidenti lungo il selciato e che possono far confondere un escursionista poco attento. Boazze e margheritone giacciono, ormai secche, placide e bucherellate dalle mosche che ne hanno preso possesso, costruendo veri e propri condomini larvali in cui le progenie cresceranno per andare a tormentare, tutta l'estate, quelli che sono stati i produttori delle loro abitazioni.
Alcuni segnavia rosso-bianchi sono freschi di verniciatura, ma bisogna camminare guardandosi intorno perchè gli animali hanno scavato innumerevoli false vie, e non ci possiamo permettere di perdere tempo sbagliando sentiero: il tramonto non ci aspetterà.
Superiamo il cancello di pali mobili e filo spinato, che segna il limite del pascolo. Da li camminiamo per qualche centinaio di metri in piano, riprendendo un po' fiato. Non è troppo faticoso il percorso, ma l'afa è soffocante e in salita spezza il respiro. Il pascolo prosegue fino ai piedi del Monte Bruno, in vetta al quale ci fermeremo. Abbiamo un dislivello di 100 metri da coprire in neppure 400 metri di cammino, e se Euclide non ha sbagliato i suoi teoremi, la pendenza dell'ascesa sarà di quelle che ti lasciano senza parole.Madidi, o meglio, fradici di sudore, guadagnamo il nostro belvedere privilegiato. La cima del Monte Bruno è spelata, ricoperta solo da tanta erba che non supera il mezzo metro d'altezza. Qui si gode di un panorama a 360°e, se il cielo sarà limpido, dopo il tramonto si potrà vedere anche Cesenatico, col suo grattacielo, le sue luci e quell'orrida e immonda piattaforma petrolifera che è stata recentemente costruita a poche miglia dalla spiaggia. Maledetta sia la bieca miopia dell'uomo!Sono le 20:00 e, in base al calendario astronomico, abbiamo un'oretta giusta giusta prima del tramonto. Steso il telo da pic-nic sul manto erboso, appiattito poco prima da qualche bel pestone mio e di mio padre, ci sistemiamo e tiriamo fuori dagli zaini gli ingredienti per il banchetto silvestre di questa sera.
Carciofini sott'olio caserecci, verdure stufate e a pinzimonio, un bel tocco di parmigiano e   salame a bassa stagionatura da 1kg vanno ad arricchire la nostra tavolata improvvisata. Una bottiglia di sangiowhisky e di birra Weiss, ancora fresche di frigo portatile, completano il quadro che si presenta promettente e saporito.Trovandoci in quota il tramonto inizia il conto alla rovescia con qualche minuto di anticipo. Sono in ritardo per impostare la mia attrezzatura, e sfuma così la possibilità di fare il time lapse. Ma il treppiede torna comodo ugualmente: impostando la fotocamera on diversi livelli di esposizione riesco a realizzare una serie di scatti per fare foto in HDR. Per chi non lo sapesse, si tratta di scattare tre o quattro foto della stessa scena con diversi tempi di esposizione, in modo da cogliere, nei differenti scatti, dettagli differenti. Le foto poi vengono fuse grazie ai programmi dedicati su pc, e il risultato finale è, a mio personalissimo avviso, magnifico! La mia Olympus fa tutto direttamente in camera , così mi godo subito il risultato. 





Mentre scatto decine di foto, continuiamo a banchettare, ma a un certo punto mio padre solleva una questione non trascurabile: "Dona, ma per colazione? Hai portato qualcosa?".

"A parte il caffè solubile e il fornello ad alcool no, niente", rispondo preoccupato. "Tra l'altro ora che torniamo in paese sarà tutto chiuso".

"Allora lasciamo qualcosa per domattina, altrimenti toccherà camminare a stomaco vuoto", suggerisce saggiamente lui.

Alle 21:30 raccogliamo le nostre cose. Il sole è già dietro l'orizzonte, ma la luce è ancora sufficiente per tornare al parcheggio senza usare torce.

Il bosco pare sia in pausa, attende silenzioso l'arrivo delle tenebre. Mi pare di avvertire l'ansia e l'aspettativa degli animali selvatici, pronti a far capolino dal fitto della boscaglia col favore dell'oscurità. Camminiamo in silenzio anche noi, con passo decisamente più svelto e allegro dell'andata. Complice il vino e lo stomaco pieno, affrontiamo con maggiore spensieratezza il sentiero che riporta, quasi tutto in discesa, al Passo della Peschiera.

Mentre carichiamo in auto i nostri zaini, dal bosco parte il canto inaugurale della nottata di attività di tutta quella fauna che si è riposata durante le assolate ore della giornata appena conclusa. Un Succiacapre inizia, col suo caratteristico trillo continuo, a intonare la colonna sonora della nottata. 

Poche curve e qualche tornante, e siamo in paese.
Come immaginavamo, a S.Benedetto è già tutto chiuso. Sono le 22:30 e il borgo è già in letargo. Ne approfittiamo per muovere qualche passo lungo il sentiero che porta alla Cascata dell'Acquacheta. Nemmeno duecento metri di cammino e ci ritroviamo immersi in una notte surreale. Nel buio del folto scorgiamo mille e mille luci. Come stelle del sottobosco, un'infinità di lucciole si muove nella notte, con il sottofondo della scrosciante e poderosa cascata che si incontra subito lungo il sentiero. Vedo una radura poco avanti a noi, e decido di raggiungerla. Uno spettacolo indimenticabile ci viene offerto dalla natura. Ci guardiamo intorno e vediamo le stelle della foresta, lampeggianti e danzanti intorno a noi. Poi alziamo gli occhi, e la via lattea, con la sua miriade di diamanti incastonati nell'infinito, ci fa sognare di essere in un posto dove ci sono due firmamenti: uno è nascosto, intimo; l'altro è maestoso, rassicurante.

Sono le 23:30 quando ripieghiamo in albergo. La sveglia è per le 3:30, e sarà dura dormire sapendo che l'alba ci attende.

Mio padre prende sonno immediatamente, ma io sono ancora in quel bosco, con la testa. Ripenso a quelle lucciole e a mio figlio, che ancora non le ha mai viste. Essere genitore vuol dire rivivere di nuovo le scoperte fatte da bambini, ed è uno dei maggiori riconoscimenti che questo ruolo difficile può regalare.

Per fortuna riesco a cedere a Morfeo, e un paio di orette me le dormo anche io. La svegli suona, discreta e puntuale, insieme alla torre campanaria del paese. Mi sono perso i 15 rintocchi di mezzanotte e tre quarti, ma anche i 5 din don appena suonati non sono uno scherzo. Echeggiano in tutta la vallata circostante, correndo tra montagne e gole ammantate di lussureggiante vegetazione.

Ci prepariamo rapidi e, in punta di piedi, usciamo dall'albergo. L'adrenalina in corpo non ci fa sentire la stanchezza, per cui siamo allegri e be svegli. Con l'auto riguadagnamo il Passo della Peschiera in una decina di minuti, passando davanti alla sorgente di acqua gelida in cui ci siamo rinfrescati ieri sera, al nostro ritorno dopo il tramonto. Acqua deliziosa, fredda, e abbondante!

Parcheggiamo al valico che segna il confine con Marradi, e indossati nuovamente i nostri zaini, ora alleggeriti, ci prepariamo a scarpiniare ancora lungo il CAI 555. Il succiacapre è sempre sullo stesso albero di prima. Canta, col suo trillo continuo, ma il volume è ora più basso. Sarà evidentemente esausto dopo 5 ore buone di gorgheggi.

E' ancora notte, ma fa un caldo maledetto. La luna piena rischiara a sufficienza il sentiero, per cui riusciamo ad orientarci senza necessità di torce. A parte un paio di cervi, che coi loro bramiti minacciosi ci hanno invitato gentilmente ad allontanarci rapidamente dai loro territori, non abbiamo fatto altri incontri con la fauna locale.

Guadagnamo la vetta del Monte Bruno col favor di luce. Il sole non è ancora sorto, ma manca davvero poco. Peccato però che l'orizzonte a est sia coperto da uno spesso strato di foschia. Sull'Adriatico l'aria non si è mossa: non essendoci stata inversione termica, è rimasto come tutto congelato a ieri, con l'afa che staziona implacabile su tutta questa zona.

"E Vabbuò", esordisce mio padre, visto che l'alba non ce la riusciamo a vedere, tanto vale metterci comodi e fare colazione.

Non potevo chiedere di meglio. Il mio stomaco brontola da una mezz'ora, per il pensiero di quello che attende di essere mangiato.

Sdraiati sul telo da pic-nic consumiamo i resti di ieri sera. Avevamo tenuto da conto anche mezza bottiglia di vino, che risulta quanto mai gradevole nonostante l'ora sia piuttosto presta.

Alle 6:00, finalmente, il sole emerge dalla coltre nebbiosa che ricopre il mare. Giusto il tempo di salutarlo e giù, di buon passo, si ritorna alla macchina. Fa un caldo già insopportabile, e il pensiero di quella che sarà l'aria che ci aspetta in pianura, per un istante ci fa vacillare.

E se restassimo quassù?

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