PERCHÈ, PRIMA O POI, UNA CURA LA TROVANO... MA NEL FRATTEMPO DIAMOCI UNA MANO PER NON PERDERCI NELLA NOTTE

mercoledì 27 aprile 2011

RETINE "ESTROSE"

Le news son sempre dietro l'angolo...

A quanto pare le mie retine hanno deciso di essere creative: era qualche giorno che, sporadicamente, ci vedevo così. In genere era a sera, con gli occhi stanchi e appannati.
Da ieri, la maggior parte delle volte in cui leggo scritte nere su sfondo bianco ci vedo leggermente sfasato: un bel bordino contorna tutti i caratteri.
Beh, sì...son sempre stato creativo ed estroso, quindi le mie retine perchè dovrebbero esser da meno??

In pratica, se un testo è scritto così
io  ora lo vedo così:


Che culo!!!

domenica 24 aprile 2011

STARGARDT ed ELETTROAGOPUNTURA

Un giorno, durante le mie incessanti ricerche sul web alla ricerca di quello che potrebbe essere il volto del mio futuro da Retinopatico, sono incappato in questo video…



Un medico turco, qui, illustra come la sua tecnica di agopuntura possa essere applicata ai soggetti affetti da Retinite Pigmentosa e Stargardt. Tra i vari lucidi vengono illustrati gli effetti sul visus dei pazienti trattati, con tanto di esempi di erg e campi visivi.
Mi son messo a caccia di notizie di questo oculista turco, il dr Osman Firatli. Ho facilmente raggiunto il suo sito web, che trovate qui sotto:
C’è un buon preambolo in merito alla patologia e, in calce alla pagina, viene riportato che i pazienti con Stargardt possono essere trattati con l’Elettroagopuntura. Solo questo viene detto, nulla più.
Scetticamente incuriosito ho preso la mail e ho scritto al dr Osman direttamente, chiedendo spiegazioni e informazioni varie.
A differenza di molti nostri luminari, che latitano e non rispondono in genere di buon grado alle mail quando interpellati, entro 24 ore ho ricevuto risposta dall’oculista turco.
Qui ve la riporto.
DEAR DR. DONATO
YES, STARGARDT DISEASE CAN BE TREATED WITH A VERY HIGH SUCCESS RATE.
IF YOU WOULD LIKE TO INVESTIGATE OUR WEB-SITE ABOUT THE TREATMENTS OF STARGARDT'S DISEASE AND RETINITIS PIGMENTOSA YOU CAN EASILY FIND THE ESSENTIAL INFORMATION ABOUT THE SUCCESS OF THE TREATMENT ESPECIALLY WHEN YOU COMPARE THE VISION FIELD TESTS OF THE PATIENTS WHICH ARE TAKEN BEFORE AND DURING THE TREATMENT. YOU CAN EASILY REALIZE THE PROGRESSION OF THEIR VISION FIELDS AND THUS AFFECTING THEIR VISUAL ACUITY.
WWW.RETINITISPIGMENTOSA.CO
WWW.STARGARDT.CO

THE TREATMENT IS PERFORMED IN ISTANBUL, TURKEY, IN OUR OWN CLINIC.
AT THE BEGINNING WE DEMAND THE COLOURED VISION FIELD TEST OF THE PATIENT AS YOU SEE THE SAMPLES ON OUR WEB-SITE. WE PERFORM 2-3 SESSIONS TO DECIDE TO CONTINUE WITH THE TREATMENT DEPENDING ON THE RESPONSE OF THE PATIENT TO THE TREATMENT.
IF WE CONTINUE WITH THE TREATMENT WE APPLY 20 SESSIONS.
THE TREATMENT IS APPLIED 3 TIMES PER WEEK.
IT TAKES 7-8 WEEKS FOR 20 SESSIONS AND THE COST IS 300€ FOR THE TRY-OUT SESSIONS AND 2300€ FOR 20 SESSIONS.
SINCERELY;
DR.OSMAN FIRATLI
ATAKÖY 1.KISIM F 26 D:9 BAKIRKÖY/İSTANBUL/TÜRKIYE
0090 542 242 01 42
0090 506 715 02 04

Che dire… io per attitudine non escludo mai nulla e reputo, fino a prova contraria, tutto possibile.
Resta il fatto che 130€ a seduta per farsi piantare aghi nella carne, nell’ipotesi tutta da dimostrare che questo possa dare effettivo beneficio a una retina in via di atrofizzazione, mi lascia pensieroso…
Come sempre, se un approccio così semplice e naturale potesse sortire effetti così macroscopici sulla vista di un Retinopatico affetto da Retinite Pigmentosa o Stargardt, chissà come mai viene praticato solo a Istambul e in nessun altra parte del mondo.
E poi, gira e rivolta, si finisce sempre a parlare di cifre e 3 zeri… chissà come mai ci son sempre di mezzo costi non proprio a buon mercato, specie in casi come questi in cui si hanno spese di materiali risibili per i trattamenti.
Comunque, terrò le orecchie dritte e gli occhi spalancati: saltasse fuori qualcosa di nuovo e di ufficiale sarà mia premura aggiornare questo post.

giovedì 14 aprile 2011

E' POSSIBILE VIVERE CON LEGGEREZZA ?

Una serie di considerazioni che sono assolutamente applicabili alle nostre vite.
Un libro che penso valga la pena leggere... per noi e per chi ci sta intorno.

tratto da voglioviverecosi.com




Smettiamo di inseguire l’approvazione degli altri, accettiamo di essere limitati. Impariamo a perdonare e a dire grazie. Solo così ci accorgeremo che vivere non è più un peso.
L’invito arriva da Giovanni Galletto, psicologo e psicoterapeuta, che ha studiato negli States e a Roma, e che con suo fratello Corrado e Loris Panero, giornalisti entrambi, ha scritto di recente un libro, dal titolo “La fatica di vivere”, edito da San Paolo. Una guida a vivere in modo più leggero.


“La società odierna -si legge nel libro- è terreno fertile per le fragilità individuali: chiede molto, spesso anche l’impossibile, sotto tutti gli aspetti: ci vuole belli, produttivi, forti, impermeabili alle sofferenze, alla stanchezza, ai continui cambiamenti di rotta – un po’ come i pupazzetti della vecchia pubblicità di una marca di pile, che, a dispetto del tempo e degli ostacoli, continuavano imperterriti a caracollare con lo stesso ritmo e il sorriso dipinto sul faccino – e offre, in cambio pochi sostegni”.
La nostra è una società che ti stritola, ti assedia, ti mette in una situazione di affanno continuo. Di affaticamento.
Ma cos’è la fatica di vivere?  Secondo l’esperto, non è ancora male di vivere: non è patologia, ma una sorta di anonimo grigiore che sovente avvolge la vita. Allora la vita sembra un frullatore, che ti travolge e soprattutto, ti impedisce di essere te stesso sino in fondo. 
La fatica di vivere si identifica con “la sensazione – si legge- di inadeguatezza di fronte alle situazioni  che il proprio ruolo impone di gestire. Un passato con il quale non si riesce a fare pace. Quel sogno ricorrente in cui c’è un appuntamento  improrogabile che incombe - gli esami per la studentessa, la chiamata del cliente difficile per l’agente di commercio, il matrimonio del figlio per la casalinga – e non ci si arriva mai, perché continui impedimenti tormentano per notti intere chi si sta affannando nella corsa. Arrivare alla fine di una qualunque giornata di routine esausti, con un’infinita stanchezza psicologica.  Sentirsi smarriti tra circostanze che accadono intorno a sé senza una trama. La voglia a volte di scappare, di volare via alla ricerca di un arcobaleno tanto lontano che non se ne vedono più i colori”.
Ma per Galletto dalla fatica di vivere si può “guarire”  “Passa -dice- attraverso l’individuazione delle scorie mentali- sensi di colpa, recriminazioni, bugie, dipendenza dalle aspettative altrui, modi sbagliati di rapportarsi con se stessi, con gli altri e con le vicende di ogni giorno che, accumulandosi, intralciano e deformano il pensiero, per poi sperimentare esercizi utili a tonificarlo, in una sorta di autoterapia”.   
Da quanto dice lo psicologo, fondamentale è imparare ad ascoltarsi e dare voce ai propri bisogni. Quindi conoscersi, per non rimanere imprigionati in ruoli ossificati e dare agli altri un’immagine sbagliata di se stessi. A sentire Galletto, dobbiamo imparare a ripulire le nostre emozioni dalle incrostazioni che i vari sistemi educativi ci hanno lasciato.  Liberare la nostra essenza. 
“Siamo tutti, invece -si legge a pagina 93-  prigionieri di tante cose, eppure la maturità vera consiste proprio nel riuscire a conquistate quella libertà interore che permette di non dipendere dal parere degli altri ma di poter essere come siamo, di esserlo ed esprimerlo, perché non ci basta saperlo noi, dobbiamo poterlo condividere con gli altri”.
Ma imparare ad ascoltare se stessi significa deludere gli altri? Per Galletto “soddisfare le proprie esigenze  non significa cancellare gli altri, l’importante è non essere prigionieri delle aspettative altrui, per cui basiamo completamente la nostra autostima sull’approvazione degli altri.  Nella misura in cui riesco a identificate i bisogni veramente miei e a far pace con le mie aspettative, sarò più disponibile anche a riconoscere i bisogni e le aspettative altrui. Questo non vuol dire porre me stesso al centro dell’universo, perché altrimenti sarei un narcisista e anche questa è una patologia: io pongo me stesso in mezzo agli altri, ma come faccio se non so nemmeno chi sono, che cosa sento, che cosa vivo, di che cosa ho bisogno?”
Per sintetizzare, quindi, non tener conto degli altri è egoismo, dipendere dalle aspettative altrui è incapacità di volersi bene. Per Galletto è un equilibrio difficile da mantenere quello tra il dentro e il fuori se stessi, se non c’è una qualche sicurezza di fondo, una stima di sé che arriva da lontano. Ma con l’allenamento si può acquisire la piena consapevolezza di se stessi e degli altri. Cosa fare subito? “Smetterla- afferma- una volta per tutte di volere il meglio della vita così come è e non come vorremmo che fosse. Dobbiamo imparare ad apprezzare ciò che siamo e abbiamo e a non rimpiangere sempre ciò che non abbiamo e non possiamo essere”.
Questo presuppone un rapporto diverso con il passato e con chi ci ha offeso. Di qui l’importanza del perdono. Che può essere utile a crescere solo se è un atteggiamento attivo, dinamico, non passivo. E cioè? 
“Perdonare- afferma il professionista- è la capacità di prendere in mano quello che è accaduto, di superarlo per andare oltre. Perdonare non significa dimenticare: dimenticare o rimuovere impoverirebbe il perdono, perché vorrebbe dire archiviare qualcosa, annullarlo”. Il perdono è un atto di gentilezza, di amore nei confronti di se stessi.  
Dunque, è necessario liberarsi da zavorre e non rimanere bloccati in posizioni, del tipo: “Questa non gliela perdono”. Cercare di “riscattare” l’altro serve a sentirsi più liberi, base per vivere in armonia con il resto del mondo.
In questo senso, che significa imparare a dire grazie? Replica Galletto: “Grazie più che una parola è un atteggiamento che si ha nei confronti dell’altro. Imparare a dire grazie fa stare bene, in quanto dà un senso, un significato profondo al nostro esserci e al nostro essere con gli altri”.
Per chiudere secondo lo psicologo dovremmo lasciarci guidare dalla benevolenza, dall’accoglienza e dalla fiducia, allontanando da noi la rivendicazione, la diffidenza e la paura. Non sprechiamo più neanche un istante in mugugni, rimpianti sterili. “Quante relazioni- afferma- rovinate da piccole ma velenose meschinerie”. Galletto, a tale proposito ricorda una frase di Roberto Vecchioni: La vita non si innamora due volte dello stesso uomo. “Ogni innamoramento – continua- ha i suoi problemi, le sue difficoltà, momenti belli e momenti problematici. Anche l’innamoramento con la vita ha i suoi guai. C’è però una differenza sostanziale rispetto ad ogni altra forma di innamoramento. Con la vita abbiamo una sola possibilità; se la sappiamo usare bene possiamo diventare capaci di ascoltarne il miracolo. Un miracolo molto semplice, alla portata di ciascuno di noi, che consiste nello smettere di sprecare ogni istante desiderandolo diverso.  Come è stato scritto non si può guarire dalla malattia chiamata vita. Io credo che il compito di ciascuno di noi sia quello di farsene carico nel bene e nel male, e di non viverla di sfuggita. Solo così potremo dare alla nostra storia su questa terra, lunga o breve che sia, il più bel titolo possibile. Che è pure il titolo dell'autobiografia del grande scrittore cileno Pablo Neruda: Confesso che ho vissuto”.
A cura di Cinzia Ficco

mercoledì 13 aprile 2011

L'ORO VERDE:

Olio Extravergine di Oliva

Questo post è stato scritto da Moreno, il mio amico di cui avevo già pubblicato in merito alla Visione Fantasma. Avendo esperienza anche in questo ambito, ho chiesto un suo autorevole intervento.
Buona lettura.
 



L'olio extravergine di oliva è uno dei migliori prodotti d'Italia. E' un vero e proprio vanto nazionale e, senza troppo paura di essere smentito, mi sento di dire tranquillamente che proprio nel nostro paese si produce il miglior E.V.O. (Extra Vergine di Oliva) del Mondo.
Ma a noi italiani, si sa, ci piace essere estrosi e così, dopo essere saliti al rango di migliori produttori di Olio Extra del mondo, abbiamo anche tenuto a diventare i maggiori contraffattori di questo prodotto, producendoci in lotte intestine per denominazioni, obblighi di legge e dichiarazioni in etichetta, quanto mai strane ed equivoche.
Tra le poche cose buone fatte da questo governo (che a me non piace e non ne faccio mistero), c'è stata quella di inserire obbligatoriamente in etichetta la determinazione geografica della materia prima da cui si ricava l'Extravergine. Ovvero, da cosa lo si ottiene e, quel qualcosa, da dove diavolo viene.
Parrebbe una precisazione sciocca, vero? Se è extravergine di oliva, significa che chi lo produce lo ricava dalle olive. E beh, in effetti, ecco, non è così scontato.
Come spiegavo nel commento al post di Donuzzo, l'indicazione in etichetta “Olio Extravergine di Oliva” può tranquillamente coesistere con diciture in controetichetta (per chi non lo sapesse, non è altro che l'etichetta che sta sul retro della bottiglia) molto meno rassicuranti.
Partiamo da un presupposto: nessuno regala nulla, e spero che nessuno strabuzzi gli occhi a questa affermazione.
Ne dico un’altra, che invece un po' gli occhi li farà strabuzzare: un buon extravergine italiano prodotto con olive del territorio, estratto a freddo, come dev'essere, e garantito in tutta la filiera, non può costare meno di 7-8€ al litro in bottiglia (e siamo già borderline). Qualcuno sarà un po' scioccato. Beh, cercate di tenere a mente tutta questa lunga sequela di specificazioni che ho dato, perché le riprenderò una ad una nel tentativo di spiegarmi e, se lo vorrete, spiegarvi.

Partiamo proprio dalla denominazione principale.

Cosa significa Olio Extravergine di Oliva?

Per EVO, s'intende un estratto oleico ottenuto con sole olive raccolte dagli alberi (quindi scartando quelle già cadute a terra), estratto a freddo e che a fine lavorazione presenti un'acidità oleica di base non superiore allo 0,3%.

Quindi:

Olive raccolte dall'albero significa che queste, quando sono pronte da cogliere, vengono fatte cadere dai rami attraverso diversi metodi di scuotimento ed utilizzate, esclusivamente loro, per produrre Olio Extravergine di Oliva. Al contrario, quelle che sono già cadute a terra naturalmente non vengono utilizzate per produrre olio alimentare. Attenzione bene: non ho detto non vengono utilizzate per produrre extravergine, ho detto proprio non vengono utilizzate per produrre olio alimentare. Infatti la legge vieta di usare queste olive per altro che non sia la realizzazione di oli industriali atti ad essere bruciati. Non a caso, l'olio che si ricava dalle olive cadute al suolo viene definito “lampante”, proprio perché in passato era l'olio utilizzato per ricaricare le lampade che si usavano in casa per l'illuminazione.

Estratto a freddo. L'estrazione a freddo è quella che avviene attraverso procedimenti meccanici e meccanizzati, in ambienti protetti e a temperatura controllata, in modo che la polpa d'oliva che si sta frangendo (come si dice), non superi mai la temperatura di 27°C.
Quindi scordatevi le macine a pietra o, peggio ancora, le presse idrauliche che si utilizzavano fino a 15 anni fa. Servono macchinari all'avanguardia, che abbiano una camera intermedia in cui corre una serpentina che possa mantenere, alla temperatura desiderata, tutta la polpa in frangitura per tutta la durata della lavorazione.
Le macine, al contrario, producono troppo attrito che riscalda la polpa e non hanno nessun sistema di raffreddamento istantaneo. Le presse, invece, aumentando la pressione, aumentano giocoforza anche la temperatura (la conosciutissima anche dal Donuzzo legge di Boyle). Ovvio però che pietre e presse, hanno un costo di manutenzione, di base e di consumo, molto inferiore ai sofisticati macchinari di cui sopra.

Acidità oleica < 0,3%. Questa è una caratteristica fondamentale perché il nostro E.V.O. sia buono e ci faccia bene, oltre che essere codificata, come le altre, per legge. L'acidità oleica, nei frantoi che trasformano le olive direttamente e artigianalmente, viene misurata dal Corpo Forestale dello Stato proprio mentre si effettua la frangitura con controlli a sorpresa. Il CFdS è l'organismo competente, da qualche anno, nel vigilare  sui prodotti derivanti dall'agricoltura.
L'acidità è importante che sia inferiore a quella indicata perché è una testimone diretta della bontà delle olive utilizzate. Olive ancora abbastanza verdoline, che producono poco olio ma che non sono giunte a maturazione completa, hanno una percentuale di acido oleico più basso. Potrebbe sembrare il contrario, perché in genere tutti i frutti, maturando, perdono acidità e acquistano in zuccheri. Le olive no: al contrario, perdono si in amarezza e astringenza perché si riduce la percentuale di acido malico, ma con la sua trasformazione cresce la percentuale di acido oleico. Questo si traduce in perdita di molti nutrienti importanti, come molti antiossidanti, che danno il classico pizzicorino in gola e l'amarognolo fragrante di carciofo, tipico del buon extravergine d'oliva. Le olive cadute a terra, tornando al discorso di prima, sono quelle più mature e quindi con la più alta percentuale di acido oleico, che per altro funziona come una tossina, dannoso quindi per il nostro corpo. Ecco perché, per legge, non possono essere utilizzate per gli oli alimentari.

Bene, ora che abbiamo specificato cosa significa Olio Extravergine di Oliva, andiamo alla CONTROETICHETTA.
In essa, come detto, viene riportata la provenienza della materia prima. Le diciture sono di cinque tipi. Andiamo dalla migliore alla... meno migliore.

1. Olio Extravergine di Oliva prodotto in Italia e ottenuto con la lavorazione di olive del territorio italiano tramite procedimenti meccanici.
2. Olio Extravergine di Oliva prodotto in Italia e ottenuto con la lavorazione di olive di origine comunitaria tramite procedimenti meccanici.
3. Olio Extravergine di Oliva prodotto in Italia e ottenuto con la lavorazione di olive di origine extracomunitaria tramite procedimenti meccanici.
4. Olio Extravergine di Oliva prodotto in Italia e ottenuto con l'assemblaggio di oli extravergini comunitari.
5.  Olio Extravergine di Oliva prodotto in Italia e ottenuto con l'assemblaggio di oli extravergini extracomunitari.

Ora, non soffermiamoci troppo sulle prime 3 denominazioni, ché si spiegano da sole: in pratica le olive vengono sempre frante da un'azienda italiana, attraverso la spremitura a freddo e con procedimenti meccanici. Cambia “solo” la provenienza. 

C'è però una questione non da poco... Come sono raccolte le olive che vengono da fuori del nostro paese? Come vengono coltivate? Quali sono le leggi in termini di agricoltura? Pesticidi? Concimi chimici? Grado d'inquinamento? 

Ma vabbé, qui il discorso è complesso e qualcuno potrebbe anche dirmi, magari a ragione, che se le olive vengono da taluni paesi c'è da stare più tranquilli che se fossero raccolte da noi. C'è un problema, però: perché allora costa meno l'olio che ne ricavo? Costa meno, nonostante i costi aggiuntivi d'importazione.
Dovrebbe costare di più.
Non è strano?

Ma andiamo alla denominazioni 4 e 5. Solo leggendole capirete cosa intendevo quando dicevo che la dicitura Olio Extravergine di Oliva italiano può purtroppo convivere con tante altre diciture meno rassicuranti.
Innanzi tutto, perché un EVO, per legge, possa essere definito italiano, basta che sia trasformato nel nostro paese. E questo s'è capito.
Quello che forse va gridato un po' più forte, e forse anche con una punta di biasimo da parte dei consumatori, è che la stessa denominazione può essere data ad un olio che in realtà è un blend di altri oli prodotti altrove. Il solo essere stati mischiati e confezionati in Italia, autorizza chi li mischia a dire che quell'extravergine è italiano. Pazzesco...
Un extravergine così realizzato, che somma nel prezzo al dettaglio:

1.     il guadagno di chi lo vende al dettaglio;
2.     il guadagno per chi lo commercializza e assembla il blend;
3.     il guadagno per coloro che hanno fornito gli oli da cui si è ricavato il blend, che avranno avuto i loro costi di raccolta e frangitura;
4.     le spese d'importazione da quei paesi al nostro degli oli da assemblare;

alla fine viene a costare meno di un olio realizzato in Italia, con olive italiane, da un unico produttore e trasformatore.

Beh, cosa devo aspettarmi da un olio del genere?
Che sia salutare?
Che sia fatto secondo tutti i crismi di tutela che devono seguire per legge coloro che producono veramente olio in Italia con olive italiane?
Vi ricordate cosa dissi all'inizio?
Nessuno regala niente per niente.
Leggete, informatevi, controllate sempre le etichette, controllate se ho ragione e non fidatevi solo della mia parola, ma non fatevi gabbare.
Non dico di non comprare più oli da 2-4-5€ al supermercato. Mi rendo conto che quando si deve cucinare, e si deve pertanto usare tanto olio, si fa fatica in un'economia familiare media a sperperare nella padella un olio da 10 sacchi al litro, quello che invece intendo dire è che, se e quando li comprerete di nuovo, dovrete fare un acquisto consapevole: cercate di sapere cosa state acquistando, in modo che siate sempre voi a scegliere e in modo da utilizzare un determinato prodotto aspettandovi solo ciò che ci può dare secondo le sue caratteristiche, evitando così di idealizzarne gli effetti benefici.

giovedì 7 aprile 2011

OZONO TERAPIA: UNA PERSONALISSIMA E LIBERA INTERPETAZIONE

"L’Ozono è il fratello selvatico dell’ossigeno"... bella questa definizione, sarebbe piaciuta al mio professore di Chimica Inorganica.
Invece che essere una molecola biatomica, come l’ossigeno O2, l’Ozono è triatomica ovvero è costituito da tre atomi di ossigeno legati tra loro.
Questa insolita struttura gli conferisce una elevata reattività chimica, un fortissimo potere ossidante (è usato nelle piscine termali per disinfettare l’acqua al posto del cloro) e una alta capacità ossigenante per i tessuti biologici. E’ una generalizzazione per certo ma, dato che decomponendosi l’Ozono libera O2 e O atomico, è come se avesse una volta è mezza il potere ossigenante dell’aria che respiriamo.
Il punto che richiede attenzione, nella sua manipolazione, è il fatto che abbia un notevole potere ossidante. Questo significa che causa stress ossidativo all’organismo. E’ una questione molto importante su cui porre l’accento.
Ma di cosa si tratta?
In poche parolesi preleva in continuo il sangue del paziente, lo si tratta con una miscela gassosa di O2 e O3, re-infondendolo quindi  nel paziente in continuo. Le concentrazioni di Ozono crescono di seduta in seduta, così da permettere all’organismo di adattarsi al crescente stress ossidativo a cui è sottoposto. In genere vengono trattati circa 3 litri di sangue per seduta; ogni trattamento consta in media di due sedute settimanali, per non meno di 3 settimane. I dettagli li trovate al link sopra indicato.
Al di la della sua efficacia in oculistica, tra l’altro provata in molte patologie tra cui le degenerazioni maculari legate all’età, spesso non viene prestata attenzione all’aspetto dello stress ossidatrivo che le terapie di ozono-emoautotrasfusione possono comportare per l’organismo.
Ci sono molti studi, infatti, che evidenziano come questo trattamento porti tangibili benefici al processo visivo in pazienti affetti da degenerazione maculare senile o miopica. 
In pratica si hanno miglioramenti del visus e dei profili elettrici dei potenziali retinici, decisamente netti e marcati in molti casi. Il problema unico sta nel fatto che questi benefici sono evanescenti e, nel giro di 4-6 mesi, il loro effetto svanisce.
Poco male:  se un trattamento come questo permette di recuperare qualche mese di benessere visivo, perché non sottoporsi?
In merito ad altre patologie oculari i dati sono poco chiari. In particolare ho cercato sue applicazioni per la Retinite Pigmentosa… ma la letteratura è povera in questo ambito.
Uno studio esiste, ed è stato condotto da una università americana che ha esaminato pazienti trattati a Cuba con chirurgia e Ozono terapia. Nei fatti l’articolo evidenzia che non sono stai osservati miglioramenti oggettivi e che, in alcuni casi, si è rilevato un peggioramento della malattia. 
Ora, ben conscio di quanto sono politically Uncorrect gli americani nei confronti di Cuba, non mi sento di accreditare troppo il valore scientifico di tale pubblicazione. Ho provato a più riprese di trovare risposte da medici Cubani. In mille modi ho tentato di contattarli e a questo si deve il ritardo con cui pubblico questo post. Non ho ricevuto risposta ma, avendo visto di persona come vanno le cose sull’isola caraibica, non considero negativo questo segnale. Là davvero non hanno neppure la carta igienica, perciò non mi stupisce se non mi rispondono via intenet. Pensate che hanno una rete internet sull’isola che è più che altro un’intranet: è lo stato che gestisce e regola i flussi di informazioni dei server, perciò riescono ad usare la mail e poco più… quando riescono. Poi c’è anche la censura, quindi è possibile che loro mi abbiano anche risposto ma che le mail siano state intercettate e bloccate o, al contrario, non gli siano arrivate le mie.
Comunque, limitandomi a quello che ho potuto comprendere, il mio parere personale è che come tecnica possa avere un significato interessante, a patto di considerare accuratamente l’aspetto dello stres ossidativo indotto dalla somministrazione di Ozono a livelli sensibili.
In una pubblicazione di Bucci e Diadori (Dip. Di Scienze Oftalmologiche e Neurochirurgiche, università di Siena) si possono si ritrovano le linee guida nell’approccio a tali trattamenti. Viene infatti posto l’accento sulla necessità di trattare i pazienti con adeguate quantità di antiossidanti, utilizzando un approccio empirico ma cautelativa. Vengono suggerite somministrazioni di Vitamina C a dosi di 0.5g/die e generiche compresse di multivitaminici multi minerali. Si consiglia una dieta ricca di alimenti con elevato potere antiossidante e pesce mentre si sconsiglia di eccedere con le carni. Infine si indica di iniziare la copertura antiossidante con una settimana di anticipo rispetto alla data della Ozono Terapia.
Quanto riportato in questo scritto è molto chiaro e assolutamente logico. Io mi sentirei soltanto di aggiungere quanto segue.
  1. Fornirei al paziente una tabella contenete una classificazione degli alimenti in funzione del loro INDICE ORAC, ovvero del loro potere antiossidante. Ok suggerire una dieta a base di pesce e vegetali, ma almeno così ci si destreggia meglio mentre si pianifica la propria dieta settimnanale. Qui sotto un esempio di classificazione degli alimenti in funzione di ORAC.


  1. Suggerirei un cocktail antiossidante, coadiuvato dalla presenza di Se-Zn-Cu, minerali specifici per i sistemi enzimatici bersaglio dei radicali e preposti ai vari metabolismi protettivi dallo stress Ossidativo. La Vitamina C è un ottimo antiossidante, ma data la sua natura idrofila ha azione sul comprato acquoso dell’organismo. Aggiungerei sicuramente nel trattamento protettivo almeno la Vitamina E e un protettore dei tessuti retinici come Luteina e Zeaxantina. Immettiamo Ozono nel torrente ematico e, si sa, la retina è ben irrorata perciò non sarà esclusa dall’aumentato stress.
  2. Consiglierei anche integratori a base di Coenzima Q10. Perché? Beh, basta fare 1+1. Abbiamo un trattamento ad elevato potere ossigenante, una conseguente aumentata vascolarizzazione retinica e una riattivazione dei tessuti semi atrofizzati o ancora sani: questo corrisponde ad un aumentato metabolismo retinico e, come insegna la letteratura scientifica, dato che i fotorecettori e l’EPR sono tessuti ad alto contenuto di mitocondri (la sede in cui l’ossigeno viene usato per bruciare lipidi e produrre eergia), per far funzionare bene questi organelli sarà necessario sopperire anche all’aumentato fabbisogno di cofattori enzimatici come il CoQ10.
  3. Sottoporrei il paziente a test diagnostici su sangue per stabilire il livello di stress ossidativo cui il suo organismo è sottoposto. Ne esistono di diversi tipi e sono assolutamente non invasivi: in pratica su una goccia di sangue si fanno misurazioni biochimiche che permettono di avere un indice del livello di stress ossidativo del soggetto. Ne cito due a titolo di esempio:
    1. d-ROMs (determinazione dei metaboliti reattivi dell’ossigeno): misura la concentrazione ematica degli idroperossidi, composti chimici instabili che si formano in uno stadio precoce dello stress ossidativo, e quantizza lo stato di ossidazione in termini di Unità Carratelli (U CARR), dal nome dell’inventore. In pratica si valuta la capacità “ossidante” di un campione di plasma nei confronti di una molecola bersaglio che, reagendo con i radicali contenuti del sangue, produrrà una sostanza che viene misurata dallo strumento e che sarà direttamente proporzionale al livello di stress del soggetto. E’ un test eseguibile anche in farmacie che abbiano le strumentazioni adatte, oppure nella maggior parte dei laboratori biochimici.
    2. BAP test (Biological Antioxidant Potential): misura il potere antiossidante di un organismo vivente.potrebbe dare indicazioni utili su quanto il soggetto trattato sarà in grado di rispondere e contrastare lo stress ossidativo indotto dalla terapia.
Di sicuro sarebbero da fare prima della terapia, in modo da avere anche idea di quanto profonda dovrà essere la copertura antiossidante; dopo l’emoautotrasfusione potrebbe risultare utile, a mio personalissimo parere, monitorare periodicamente il livello di attività radicali nel soggetto trattato, aggiustando eventualmente la copertura con gli antiossidanti e prescrivendo anche una dieta mirata a proteggerlo dall’azione dei radicali prodotti dall’Ozono.

Magari potrà apparire esageratamente cautelativo questo mio ragionamento, ma visto che la vista di chi si sottopone a questi trattamenti è spesso appesa a un filo, non vedo perché non sia necessario andarci coi piedi di piombo, cercando di prevedere e prevenire scenari potenzialmente patologici.
Io per curiosità mia personale vorrei aver modo di contattare qualche centro che offre tali trattamenti e mi vorrei sottoporre almeno a un ciclo di Ozono Terapia. Chi ha già fatto tali trattamenti e volesse raccontare la sua esperienza può postare qualche commento o scrivermi personalmente: aggiungerò a questo post le storie riferite.
  

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