Un collirio per proteggerci le retine e le strutture oculari dagli UV… mica male come idea.
Alcuni medicamenti sono attualmente pubblicizzati come utili a questo scopo.
Funzionano? Beh, proviamo a vedere cosa dice la letteratura scientifica e poi valutiamo.
Le mie prime perplessità, condivise anche da altri retinopatici, riguardano l’effettiva efficacia di un film sottilissimo di collirio spalmato sulla superficie oculare.
Se pensiamo alle dimensioni di una lente medicale o semplicemente polarizzata, o anche ad una lente a contatto ci si rende conto che le dimensioni sono di ordini differenti.
Il film creato da un collirio non supera in genere i 10μm (micron) di spessore e, se la chimico-fisica non è un opinione, vedo complessa la possibilità di riuscire a realizzare una formulazione farmaceutica capace di filtrare in modo significativo le radiazioni che non dovrebbero giungere alle nostre retine.
Ma, per il momento, queste sono mie elucubrazioni.
Passiamo ai fatti.
Premessa: se ripeschiamo le caratteristiche delle radiazioni per noi dannose partiamo dal presupposto che, affinché possiamo ritenerci adeguatamente protetti, le radiazioni luminose andrebbero tagliate dai 200 nm ai 500/550nm ovvero escludendo il medio-vicino UV e la banda del blu intenso del visibile. Nel post sulla patogenesi del danno ai nostri fotorecettori in seguito alla mutazione di ABCR si parlava della luce blu, responsabile della produzione di radicali e molecole citotossiche, ovvero “assassine” delle nostre retine.
Ho trovato uno studio pubblicato su un’autorevole rivista di oftalmologia che, già nel 1998, aveva esaminato l’efficacia di preparati oftalmici protettivi per gli UV (colliri, appunto)
La molecola esaminata è l’8-hydroxy-1-methylchinolinium methylsulphate, una molecola che per le sue caratteristiche strutturali è in grado di assorbire i fotoni UV, sia di origine solare che artificiale (lampade).
E’ stata studiata la banda luminosa da 250 a 500 nm, su uno spessore di 10μm di collirio, ovvero lo spessore del nostro film lacrimale. Dai 290 nm è stato rilevato che la trasmissione degli UV superava il 90%.
Considerato che in vivo la lacrimazione può non essere adeguata e costante, e che basta stropicciarsi gli occhi per rimuovere buona parte del collirio, è risultato evidente che questi preparati non sono adeguati per la protezione efficace dai raggi UV. Addirittura l’articolo conclude sconsigliando l’uso di tali preparati come sola protezione dai raggi UV.
Ora, in merito al collirio attualmente in reclam in Italia, non avendo a tutt’oggi trovato notizie relative alla sua composizione (neppure sul sito del produttore), mi sento di esprimere qualche perplessità in merito alla sua efficacia per i retinopatici.
Poi, personalmente, sia da paziente che come farmacista, non mi sentirei di ricorrere all’uso di gocce da instillare nei miei già sofferenti occhi per proteggere le mie retine. I colliri spesso vengono maneggiati come fossero acqua di rose, ma in realtà la via di somministrazione oftalmica è paragonabile a quella parenterale: le norme che ne regolamentano la produzione sono le medesime a cui devono sottostare le preparazioni iniettabili e il fatto che dopo l’apertura abbiano breve durata è conseguenza della necessità di garantire la sterilità e la sicurezza di tali preparati.
Trovo decisamente più pratico e sicuro l’impiego di occhiali protettivi. Abbiamo già un’esistenza complessa: perché complicarcela ulteriormente?
Altro “mezzo” papabile allo scopo protettivo sono le lenti a contatto UV-safe. Ce ne sono di mille marche.
Anche qui ho provato a chiedere a contattologi ed ottici di fiducia, sperando di ottenere brochure dei produttori in cui venissero illustrate le bande filtranti dello spettro UV.
Niente, viene solo riportato che filtrano i Raggi UVA e UVB e, onestamente, è un dato che poco mi serve per valutarle.
Sul web e in letteratura ci son sempre risorse, per fortuna, e qualcosa di interessante l’ho effettivamente trovata.
Le linee guida Americane suggeriscono,come protocollo protettivo per i raggi UV, l’impiego in primis di occhiali che blocchino al 99% almeno le radiazioni dannose e, in seconda istanza, suggeriscono l’impiego di lenti a contatto protettive. Ha una sua logica: integrano la protezione in quei momenti, ad esempio, in cui ci sfiliamo gli occhiali per scarsa luce o quando entriamo in luoghi chiusi e poco illuminati.
L’FDA classifica queste lenti a contatto in due categorie:
CLASSE 1: raccomandate per l’uso in condizioni di alta esposizione da UV, come montagna e mare. Devono schermare almeno il 90% degli UVA (316-380 nm ) e il 99% degli UVB (280 – 315 nm).
CLASSE 2: sono per uso generico e devono schermare almeno il 70% degli UVA e il 95% degli UV.
Per chi ha particolari esigenze di protezione, come noi appunto, e che non vuole indossare occhiali protettivi è necessario ricorrere poi alle lenti a contatto UV-Blocking, che schermano totalmente queste radiazioni.
Ok, schermano gli UV: ma la banda della luce blu??
Nei riferimenti sotto viene riportata una marca famosa di lenti e uno specifico modello, che onestamente però non so se in Italia è distribuito.
Ora, anche qui, è molto soggettivo il discorso della praticità delle lenti a contatto, che se non usate correttamente possono danneggiare le cornee. Specie con le usa e getta i comportamenti con tali dispositivi sono spesso errati e parlo anche in prima persona. Non da meno le lenti a contatto possono saltare via e comunque ad ogni battito di palpebra si spostano leggermente, con il che possono non garantire una corretta copertura dell’iride e della pupilla.
Insomma, se usate bene possono aver il loro senso: a voi la scelta.
Una cosa però sarebbe da non trascurare: chiedere un parere al proprio oculista o ottico o contattologo. Il fai da te, quando poi ai danni non sempre ci può essere rimedio, non è una pratica astuta.
Riferimenti