Riccardo è affetto dalla
Retinite Pigmentosa. La vista gli è stata tolta molto presto dalla malattia. È inclemente questa belva, non lascia scampo alla retina. Porta buio, ma
non solo. Alcuni pazienti che hanno completamente perso la capacità di vedere, a
volte devono sopportare scherzi terribili da parte delle loro retine. Nel buio
perenne può capitare, per qualche strana ragione, che le dormienti cellule
fotorecettrici inizino a trasmettere luce e lampi di intensità insopportabile.
Ma da questi potenti bagliori non si può fuggire, non basta chiudere gli occhi
per non vederli. Vengono da dentro, dalle retine, e squarciano la perenne notte con fitte
dolorose. Una trappola da cui non si fugge.
Riccardo decide di sottoporsi
ad un intervento pilota, per non dire pionieristico. Il prof Stanislao Rizzo, della AO
di Pisa, assieme alla sua equipe dovrà fare qualcosa che, fino a pochi decenni
fa, era pura fantascienza. Impiantare un chip sulla retina spenta di Riccardo, collegandola al tessuto nervoso. Questo chip è a sua volta connesso via radio anche con un trasmettitore, montato su occhiali da
sole quasi del tutto normali, se non fosse che nascondono, dove c'è il ponte che unisce
le due lenti, una microcamera. Questa ha il prezioso compito di
riprendere ciò che gli occhi di Riccardo dovrebbero vedere. Le immagini
raccolte vengono inviate in tempo reale ad un computer, agganciato alla cintura, di
dimensioni simili a quelle di un normale borsello da uomo. Qui vengono convertite in sequenza di impulsi elettrici e la codifica ottenuta
viene inviata via radio al chip montato sulla retina dell'occhio destro. È infatti questo l'occhio “battezzato” per l'intervento. Per ovvie ragioni se ne impianta uno solo, lasciando l'altro per eventuali nuovi approcci.
Attraverso le connessioni del
chip con le cellule bipolari della retina gli impulsi elettrici che giungono al micro chip vengono infine inviati
al nervo ottico e, da qui, al cervello.
Sulla carta questo è quello
che dovrebbe accadere.
L'intervento inizia. E' lungo
e prevede l'anestesia generale? Si tratta di una vera e propria opera d'arte quella che il
prof Rizzo esegue, sotto gli attenti occhi e la guida Dr.ssa Maura, l'ingegnere biomedico della Second Sight che ha sviluppato questo prodigio tecnologico. Dopo 5 ore di intenso e delicato lavoro l'intervento si conclude.
Riccardo si sveglia e affronta
con serenità i giorni di recupero post operatorio. L'occhio è infiammato, gli fa ovviamente male: la terapia cortisonica che gli viene prescritta cercherà di contenere il gonfiore
e l'eventuale rigetto del chip. Si tratta pur sempre di un corpo estraneo
introdotto in una struttura che potrebbe riconoscerlo come non gradito.
I giorni passano, le ferite
guariscono completamente e, finalmente, arriva il momento della verità.
Verrà
acceso Argus 2.
C'è tanta attesa ed
apprensione. Funzionerà? Cosa succederà? Sarà doloroso? Sarà di qualche utilità
nel migliorare concretamente la qualità di vita di Riccardo o saranno state solo inutili le sofferenze dell'intervento?
Non solo chi ha preso parte a questa avventura è in attesa: tutto l'ospedale di Pisa,
circa cinque mila persone, sta letteralmente col fiato sospeso.
I medici e gli ingegneri di
Second Sight danno l'ok: Riccardo indossa gli occhiali e Argus viene acceso.
Le belle notizie volano veloci
e dirompono come fulmini a ciel sereno. In un attimo l'intero ospedale
esulta.
Riccardo vede qualcosa.
Di nuovo!
Oggi lui è qui davanti a
noi, soci ATRI e non, a raccontare quegli attimi.
Al suo fianco ci sono le persone che
hanno reso possibile questo grande regalo.
“Quel giorno, in cui dopo
tanti anni ho rivisto, mi sono sicuramente emozionato”, racconta a noi mentre lo ascoltiamo col cuore che già batte forte e con le prime lacrime pronte a rigar i il volto. E con la voce che improvvisamente si rompe per la potente emozione lui continua "al di là di ogni altra cosa, appena ho iniziato a vedere di nuovo ho subito iniziato a cercare una sagoma in particolare, che ancora non avevo mai visto perchè quando è nata già non ci vedevo più. Si tratta della sagoma di mia figlia". Personalmente non ho
saputo più trattenermi ed un singhiozzo, insieme a copiose lacrime, hanno svelato la mia commozione.
Riccardo ora può vedere delle
sagome in bianco e nero e questo gli consente di riuscirsi a orientare con
maggiore facilità e precisione, sebbene il bastone sia ancora uno strumento
fondamentale.
“Ora vedo la forma della
testa, la sagoma delle spalle, la linea di una macchina o di un altro veicolo.
Quando entro in un bar posso girare la testa e parlare direttamente al barista
senza dover chiedere il caffè a qualcuno, magari girando la faccia dalla parte
opposta". Prosegue poi, "pure in treno, se non è troppo affollato, alle volte riesco ad
individuare un posto libero e distinguerlo da quelli occupati, anche se prima
di sedermi per sicurezza chiedo e allungo una mano. Sai la figura sederai su una
borsa o su una signora che non ho visto...”, e tutti scoppiamo in una risata che
allenta la tensione che i nostri cuori hanno caricato ascoltando le
sue parole.
Ma non è stato proprio tutto facile per Riccardo. Dopo
aver acceso Argus è iniziata la parte più difficile della storia. Imparare a usare la vista
artificiale non è una passeggiata. Noi si è abituati a muovere gli occhi per
cercare qualcosa o per seguire oggetti in movimento, e il nostro cervello ha ben consolidato questo
tipo di meccanismo. Imparare a guardare le cose e
a studiare l'ambiente circostante usando questo terzo occhio, fissato nel mezzo
della faccia, non è proprio diretto ed intuitivo.
“CI vuole pazienza, esercizio, ma ci si
riesce. E poi”, concliude Riccardo “dopo anni nel buio totale io faccio tutto
quello che posso perchè ora ci vedo. Ci vedo, capite?! Ora è tornata la luce a farmi compagnia”.
Non mi stancherò mai di
ripeterlo. La scienza e la tecnica sono quanto di più prezioso l'intelletto
umano ha prodotto. Costituiscono gli strumenti fondamentali per migliorare il
nostro futuro e garantire il successo della specie bipede più bizzatrra che
esista, a cui la natura ha donato un estro formidabile su cui plasma la sua
fortuna. La versione installata su Riccardo si chiama Argus 2 in quanto rappresenta una seconda
generazione di chip, e questo la dice lunga sulle potenzialità che
potrebbe avere l'Argus n-esimo, un giorno di un futuro molto più prossimo di
quanto potremmo aspettarci. Le cose nella scienza cambiano a ritmi frenetici:
quello che ieri era follia di un visionario domani potrebbe già essere stato superato, e le
frontiere dell'ingegneria biomedica hanno confini che sempre più frequentemente
debbono essere riscritti. E così, se l'attuale Argus 2 consente di vedere sagome
in bianco e nero, il futuro ci porterà impianti che permetteranno di vedere
magari in 3D e a colori.
E sono le anime coraggiose e caparbie come Riccardo a
far si che questa corsa per la lotta a queste terribili
malattie possa diventare concreta e, un giorno, risolutiva.
Video 1 (descrizione impianto chirugico)
Video 2 (Storie di vita coraggiosa)
Video 1 (descrizione impianto chirugico)
Video 2 (Storie di vita coraggiosa)
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