PERCHÈ, PRIMA O POI, UNA CURA LA TROVANO... MA NEL FRATTEMPO DIAMOCI UNA MANO PER NON PERDERCI NELLA NOTTE

mercoledì 2 luglio 2014

La storia di Laura e della piccola Stella

Quella di Laura è la storia di una nonna, una nonna speciale che ha ingaggiato una battaglia senza quartiere contro la Amaurosi di Leber, per amore della sua piccola nipotina. Stella, 9 anni, è una bimba curiosa e intelligente che grazie all'amore di chi le sta vicino sta imparando a vivere con tutta la forza che le occorre. Perché il mondo è la fuori e aspetta solo di essere scoperto!

Ciao Laura, ci puoi raccontare come una sindrome complessa e rara come la Amaurosi di Leber può, un giorno, entrare ed irrompere nella vita di una famiglia? 

La parola irrompere è proprio azzeccata, perché è qualcosa che non ti aspetti, che ti lascia stranita e incredula. Ti sembra impossibile che sia capitato proprio ad un tuo familiare, perché hai sempre pensato che certe malattie capitano agli altri, e invece scopri all'improvviso che un tuo congiunto ha addirittura una malattia di natura genetica, ereditaria, per la quale ancora non esiste cura. La prima cosa che pensi è "no, i dottori stanno sbagliando".

Prima della diagnosi, cosa vi ha messo in allarme, facendovi capire che le cose non andavano per il verso giusto? 

Ogni componente vicino alla bimba ha cominciato ad avere dei dubbi che qualcosa non andava poco prima dei 3 mesi di età. Ma ognuno teneva per sé i propri dubbi, come se condividerli potesse farli diventare reali. Notavamo che non fissava lo sguardo, che gli occhi ballavano (ora sappiamo che il fenomeno si chiama nistagmo), amava osservare le fonti luminose, era attratta dalle lampadine come se fossero una calamita. Verso i 3 mesi e mezzo una vicina ha preso coraggio e ci ha detto “mi permetto di farvi notare che questa bimba ha dei problemi agli occhi, perché ho avuto un parente con i suoi stessi comportamenti”. Allora piano piano ognuno di noi, nonni e genitori, ha esternato i propri dubbi. Ci siamo allarmati, come è naturale che fosse, e abbiamo cominciato a fare visite e consulti.

Immagino sarà stato un calvario il percorso per raggiungere una diagnosi definitiva, come per tutti noi affetti da malattia rara. Chi vi ha dato le risposte che cercavate? E come hanno gestito l'impatto psicologico che una simile notizia può avere sui cuori di una famiglia alle prese con una giovane vita che cresce?

La prima visita è stata fatta a Roma, perché ci trovavamo per lavoro in quella città. Risultava un occhio perfetto, come  la retina e il nervo ottico. L'oculista ha ipotizzato un ritardo di fissazione ed ha ordinato una risonanza per escludere problemi al cervello e una PEV. Da questi esami risultava che non c'era nulla di anormale e ci è stato consigliato di attendere, però l'ansia era molta e a sei mesi l'abbiamo fatta visitare da un altro oculista, al Meyer di Firenze. Altra visita del fondo dell'occhio. La retina e il nervo ottico erano sempre perfetti, così ci hanno ordinato un'altra PEV, e anche questa è risultata nella norma. Ci hanno così detto di tornare quando la bimba aveva nove mesi; eravamo ormai molto preoccupati, anche perché si insinua nell'anima la paura che si sciupi troppo tempo e che, arrivata la diagnosi, ci si possa sentir direte “ormai è troppo tardi”. Al successivo  controllo l'oculista ha cominciato ad ipotizzare una possibile Amaurosi di Leber, ma per confermarla sarebbe stato necessario  l'esame ERG e lui non era in grado di eseguirlo o farlo eseguire in una bambina così piccola. siamo stati inviato così alla genetista del Meyer. Mi ricordo bene di aver discusso con questa dottoressa. Deve avermi preso per una pazza perché io non capivo, né intendevo accettare che si potesse pensare ad una malattia ereditaria in una famiglia dove non c'erano casi conosciuti. Siamo così tornati a Roma, precisamente a Polidoro, nel reparto del dottor Vadalà, dove sono stati in grado di eseguire alla bimba l'ERG ESTINTO. Aveva 11 mesi. Il dottore è stato piuttosto crudo e secco nella conclusione. Ci ha detto “si tratta di una patologia della retina tipo amaurosi di Leber, vede la luce e qualche ombra in movimento con forte contrasto. Rimarrà così, non andate in giro per il mondo perché non c'è nulla da fare. Rivolgetevi ad un centro di riabilitazione e ricordate che c'è una bella differenza tra vedere la luce e non vederla per niente.”A questo incontro eravamo in tre, la bimba io e il nonno. Ci siamo ammutoliti e ce ne siamo andati senza chiedere nulla. Nel viaggio di ritorno, verso Firenze, al primo casello autostradale ci siamo fermati e, senza dire nulla, abbiamo pianto. Poi abbiamo pensato che dovevamo farci forza e avvisare i genitori della diagnosi. Ci sono volute tre telefonate per riferire della visita e del responso, perché ci saliva la commozione e ricominciavamo a piangere. Quella notte ognuno di noi, 4 nonni e genitori, ha pianto e ripianto.
Poi, al mattino, battaglieri ci siamo detti "è impossibile, dobbiamo cercare nel web, devono esserci delle risposte!"
Mio figlio ha trovato il centro Mondino di Pavia, che si occupava di problemi neurologici e di amaurosi di leber nei bambini. La bambina è stata ricoverata per 3 giorni per controllare se ci fosse solo la grave ipovisione o altre malattie associate. Qui hanno confermato la diagnosi e verificato che non c'erano altri problemi, cioè il suo caso non era una sindrome. Hanno fatto il prelievo di sangue per l'indagine genetica che hanno spedito al TIGEM di Napoli, ed hanno dato molti consigli psicologici ai noi parenti su come comportarci. In questo reparto vengono ricoverati molti bambini con problemi neurologici, molti hanno malattie rarissime. Ecco, qui ridimensioni la tua vita, ti trovi a contatto con delle realtà scioccanti e destabilizzanti, alla fine pensi che tutto sommato la tua nipotina è soltanto cieca, fa parte della schiera degli altri,cioè di quelli che hanno un problema da affrontare e cercare di superare. Ma scopri anche che ci sono altri, alcuni anche più sfortunati.
Come superare l'impatto psicologico? Intanto il tempo ti mette di fronte al suo incessante incalzare. Giorno dopo giorno scopri che la vita continua e deve continuare, e che hai come genitore e come nonno l'obbligo di essere forte  e di muoverti verso un grande obbiettivo, poiché al momento non puoi fermare il tempo, ne puoi fermare la malattia. Hai davanti il futuro di una bambina e devi cercare di metterla  in grado di costruirsi la sua felicità. Ti dai da fare, ti imponi serenità e positività, ti imponi di non essere tu a creare drammi psicologici o tarpare le ali di quella vita. Devi dargli ottimismo, serenità, speranza. Ti auguri che possa sviluppare una buona dose di ironia nell'affrontare le inevitabili difficoltà giornaliere. Speri sempre che, un giorno, arriverà una soluzione che le permetterà di muoversi con autonomia, di viaggiare e di conoscere il mondo, se lo vorrà.

Cosa avresti voluto che vi fosse detto, o non detto, per poter affrontare al meglio questa notizia? In altre parole, se tu fossi stata dall'altra parte e avessi indossato il famigerato camice bianco, come ti saresti comportata?

Abbiamo incontrato tante persone valide, e ritengo che sia impossibile ricevere una simile notizia pretendendo che non vi sia una reazione disperata. 

Hai una grandissima competenza in materia. Sei anche impegnata in prima fila in questa battaglia, giusto? Quanto pensi possa essere importante la conoscenza e l'impegno in prima persona?

Per affrontare l'impatto con la malattia e con la senzazione di inutilità che subito ti prende alla gola, l'unico modo che ho trovato è stato quello di cercare di capire la malattia, di cercare di capire se si poteva trovare una soluzione e, a mio avviso una soluzione la si può trovare se si investe in ricerca. Allora mi sono messa a ripassare le nozioni di chimica e a studiare la genetica, ho passato mesi a tradurre e leggere le varie relazioni su malattie genetiche della retina che si trovano su pubmed.com. A forza di insistere riesci a farti uno schema mentale e ad acquisire conoscenze. Allora ho cominciato a scrivere ai referenti, contattando medici e biologi che trovavo negli articoli scientifici. Ho ricevuto sempre risposte chiare.

Nelle mie ricerche sul web ho anche incontrato l'Associazione Toscana Retinopatici ed Ipovedenti; la bimba aveva 12 mesi e oramai avevamo compreso che aveva una patologia alla retina per la quale, al momento, non c'erano cure. Nel sito dell'associazione ho notato che c'era un numero di telefono con cui comunicare, peraltro con il prefisso della mia zona. Telefonai ed incontrai un caro amico, pacato e collaborativo. Abbiamo chiacchierato con calma per quasi un’ora. Era cieco dalla nascita e mi ha spiegato che, grazie all'aiuto di tante persone e amici, aveva frequentato le scuole, imparato ad usare il computer ed aveva anche trovato un lavoro. Mi ha proposto di partecipare ad una riunione dell'associazione, che si sarebbe tenuta la settimana dopo. Era previsto anche un pranzo dopo la riunione e con mio marito ci siamo detti "partecipiamo alla riunione, ma non ci fermiamo  a pranzo,  non siamo  ancora pronti e chissà che atmosfera malinconica ci potrà essere”. Non potevamo sbagliarci di più. Per fortuna alla fine ci siamo fermati, perché abbiamo potuto conoscere meglio molte persone. I partecipanti non erano affatto tristi ma, anzi, scherzavano, ridevano, chiacchieravano e facevano dell'allegra ironia su vari episodi che capitano nella vita di un retinopatico . L'associazione era stata formata da pochi anni e lo scopo principale era quello di collaborare con ricercatori e medici, per avere un'informazione corretta ed aggiornata e spingere  la ricerca per  trattamenti e terapie risolutive.

Perché secondo te vale la pena combattere?

Vale la pena di combattere perché, se non lo fai tu che hai a che fare col problema in prima linea, non ti puoi aspettare che chi lo ignora possa inventarsi di lottare per tè.

Veniamo alla piccola Stella.... Quanti anni ha ora?

Ora ha 9 anni e frequenta la quarta elementare.

Come sta?

La vista è molto compromessa, come dicevo. Per il resto è una bambina sanissima che si ammala raramente.

Cosa dice di se? Essendo ancora così giovane, come percepisce la sua vita?

La bambina ha un carattere allegro, con una grossa capacità di ragionamento, una mente brillante e una grande memoria. È molto sicura di sé, con una grande autostima. Si impone e si difende e non si lascia umiliare da eventuali situazioni che possono capitarle per l'ignoranza altrui. Io credo che anche se ha compreso di avere delle peculiarità diverse, perchè ha dovuto imparare il braille ed ha la maestra di sostegno, la vive come una caratteristica positiva. Ritiene di sapere qualcosa in più rispetto ai compagni, che il braille non lo conoscono, parla continuamente come se ci vedesse, ascolta tutto e inquadra tutto. Io ritengo che un bambino non vedente seguito da persone esperte possa avere opportunità come e forse più di altri.

Parla mai del suo futuro? Tutti i bambini  sin dall'asilo sognano le cose più disparate per il loro futuro. Lei quando parla di domani cosa sogna?

E' una bimba molto curiosa e le piacciono molte cose. Vorrebbe fare tutto ed è entusiasta di qualsiasi novità. Sta imparando l'uso del computer con sintesi jaws, studia pianoforte con un insegnante cieco che le insegna a leggere gli spartiti in Braille, fa parte di un coro, i piccoli cantori, ama farsi leggere libri per ragazzi ma tra poco potrà leggere da sola con il computer e la barra braille. Con la sintesi vocale non c'è lo stesso piacere nella lettura.

Immagino avrà ampiamente fatto un confronto tra lei e gli altri bambini della sua età. Sente che il suo intorno è molto diverso o, crescendo con la consapevolezza della situazione, cresce con lei anche la spensieratezza di affrontare la vita come ogni giorno si presenta?

Credo che essere ciechi dalla nascita sia meno traumatizzante che diventarlo nell'adolescenza o nella giovinezza. Sono convinta che sia consapevole sia dei suoi punti di forza che di debolezza, e sta crescendo nella spensieratezza come ogni altro bambino della sua età.

Quando ti guardi intorno, quando vedi il nostro paese e la mentalità diffusa e la generale percezione del mondo dei disabili visivi, che pensiero hai per il futuro della tua piccola nipotina?

Purtroppo il nostro meraviglioso paese sta andando sempre peggio, sia in campo culturale che come attenzione al sociale. Il futuro sarà difficile per tutti i giovani, ci sono sempre più problemi a trovare un lavoro e per chi ha delle difficoltà e delle debolezze concrete beh, sarà anche più difficile. Impera la cultura della bellezza e dell'efficienza fisica, e si vorrebbe tutto senza sacrifici.  Il paese in crisi  perde in solidarietà e ritiene il disabile un peso  e un costo. Inoltre i politici ragionano a breve termine, non investono in ricerca scientifica e non approfittano delle capacità e del valore dei propri ricercatori. 
Noi abbiamo avuto la fortuna che la regione toscana mostra di avere un occhio di riguardo per le persone con handicap, abbiamo un centro di ipovisione molto efficiente che assiste i bambini 2 volte alla settimana a scuola così da orientare il lavoro delle maestre. Seguono poi la bimba 2 volte alla settimana nel loro centro. La scuola statale purtroppo ha continui tagli e ogni anno le ore di sostegno vengono ridotte. La famiglia  deve darsi molto da fare, certamente, ma una cosa importante è che i parenti si comportino in modo rilassato, concedendo ai figli autonomia, per quanto possibile,anche prendendo qualche piccolo rischio. I bambini spesso ti stupiscono per come sanno gestirsi e porre attenzione in tutto quello che fanno.  Se tutti hanno lavorato bene e cercato di fornire sicurezza, consapevolezza e serenità, allora ci saranno tutti i presupposti per avere una vita normalmente appagante, malgrado tutte le difficoltà incontrate.

Quali sono le tue migliori speranze e i peggiori timori che nutri, guardando il futuro di Stella?

Le migliori speranze è che riesca ad avere un' occupazione che la soddisfi e adatta alla sua personalità. La paura che possa cadere in balia di qualcuno che approfitta di eventuali  momenti di debolezza. In fin dei conti sono gli stessi pensieri di qualsiasi genitore o nonno, no?

Quando capitano quelle giornate davvero dure, impegnative e cariche di emotività, cosa fai o cosa le dici per farle tornare il sorriso?

Siamo spesso insieme. Ridiamo e giochiamo, raramente è triste. A volte è arrabbiata perché non le riesce qualcosa, ma è normale. Abbiamo un motto, fin da quando era piccolissima: "ognuno si deve accettare così com'è”!

Se dovessi dirmi, in due parole, perché la vita resta una cosa preziosa nonostante tutte le sfide che una malattia come la Leber può presentare?

Perché si deve avere sempre della curiosità da soddisfare.

Mi dicevi che la tua nipotina ha una vita piuttosto attiva, e che fa molte attività anche all'aperto. È anche andata a sciare, giusto? Cosa le è sembrato?

Si è divertita moltissimo, ha fatto una settimana bianca in compagnia di adulti, ragazzi e bambini vedenti, ipovedenti e ciechi. Gli insegnanti erano specializzati del gruppo paraolimpico sono stati molto bravi, orientano i bambini con la voce. Lei ha imparato a scendere da un piccolo pendio a spazzaneve, a lanciarsi con lo slittino. Logicamente la pista era tutta per loro. In luoghi troppo affollati ancora ha delle difficoltà a fidarsi totalmente di chi le sta intorno, sopratutto se sono bambini piccoli che corrono e saltellano veloci e lei non può avere la sicurezza nella gestione della situazione.

Ci vuoi raccontare qualche aneddoto della piccola?

Qualche mese fa, mentre camminavamo per strada con il nonno, improvvisamente ha detto: "Perché mi mandate a lezione di  tante cose e vi siete dimenticati di mandarmi a scuola di colori?" L'abbiamo buttata sul ridere, spiegandole che non esiste una scuola di questo tipo, ma che forse ci potevamo organizzare con dei piccoli adesivi di forma diversa da applicare eventualmente a degli oggetti a seconda del colore.

Infine, cosa ti sentiresti di dire a un genitore che, di fronte alla diagnosi di Leber della propria figlia, si sentisse terribilmente sperduto?

Che deve avere nella sua testa un obbiettivo importate, usare tutta la propria forza e consapevolezza per mettere in condizione la figlia di avere i mezzi sia culturali che emozionali per affrontare e superare le difficoltà che inevitabilmente incontrerà. E' talmente prioritario questo obbiettivo che la disperazione passa in secondo piano e si sfuma.






L’amaurosi congenita di Leber è una malattia genetica che colpisce la retina, provocando cecità o grave danneggiamento della vista fin dalla infanzia (in genere l’esordio è nei primi sei mesi di vita). È la causa più frequente di cecità infantile ereditaria, con un'incidenza di 3 casi ogni 100.000 nati vivi. Oltre alla marcata ipovisione, un altro sintomo tipico è il nistagmo, cioè il movimento continuo e incontrollato degli occhi. Si conoscono 15-20 geni associati (quando alterati) all’amaurosi congenita di Leber; nel 5-10% dei casi la malattia è causata da mutazioni del gene RPE65. La trasmissione avviene con modalità autosomica recessiva: perché la malattia si manifesti occorre ereditare le due copie alterate del gene coinvolto da entrambi i genitori, che sono invece portatori sani della malattia.

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